Le colonne di Beethoven
Apoteosi di nome e di fatto al Teatro Regio di Torino. Nello splendore delle pagine che il MITO SettembreMusica dedica a Beethoven, brilla la sublime concertazione di Myung-Whun Chung e il pianismo d’assalto di Seong-Jin Cho.
Torino, 15 Settembre 2018 – Il ritmo, si sa, costituisce l’insieme portante di ogni costruzione musicale e offre sostegno invisibile al peso del copioso materiale compositivo. Tanto nell’architettura classica quanto in quella moderna, però, gli elementi architettonici non assolvono esclusivamente una funzione meccanica, bensì concorrono nel delineamento di una cifra stilistica ben definita, spesso racchiudendone la totalità dei canoni estetici. Si pensi appunto al Partenone, massima espressione dell’arte classica greca, le cui colonne sole abbondano di eloqui di grandiosa magnificenza. Nella musica, in maniera analoga, il ritmo non solo decreta il risultato di approcci primordiali ma nella singolarità della parentesi beethoveniana, la strutturale proporzionalità matematica sostanzia i tratti di una poetica pregna di iridescente vitalità, anticipando le pulsioni primitiviste di Stravinskij. La nietzschiana stella, cuore vibrante della meravigliosa Settima Sinfonia, «apoteosi della danza […] nella sua suprema essenza» dove «melodia e armonia si mescolano nei passi nervosi del ritmo come veri esseri umani», torna a danzare al Regio di Torino nel concerto MITO interamente dedicato a Beethoven.
Il do minore è la tonalità di immediato rimando alla divinità tedesca e nel terzo concerto per pianoforte si ritrova e riscopre tutta la subepidermica inquietudine che esploderà poi nella celebre Quinta. Nella sortita orchestrale dell’Allegro con brio la bacchetta di Myung-Whun Chung restaura appunto l’ombrosità di questa dimensione soffocante, imprimendo ai complessi della Filarmonica della Scala un colore cupo e una morbidezza nell’impasto eccezionale. Il discorso musicale si articola forbito nell’arcata di un interminabile legato esteso per l’intera durata nel concerto, tiene sospeso il fiato e si ha l’impressione di osservare un maestro vetraio plasmare in varie forme un’incandescente bolla di silice senza che essa si rompa o cristallizzi irrimediabilmente. La plasticità delle agogiche valorizza in ogni momento l’inventiva ritmica della partitura e la caratura della concertazione: il geniale rallentando dei timpani prima della seconda cadenza tende oltremodo la generale trepidazione. Seong-Jin Cho risponde splendidamente all’impronta direttoriale, con un pianismo controllatissimo, solenne nel lirismo dispiegato del Largo centrale e negli incisi iniziali, e una maestosità negli slanci virtuosistici della prima cadenza e del Rondò intero che riprende l’autorevolezza della lettura direttoriale, lontana dagli esuberanti fasti, a esempio, del quinto concerto. L’uso morigerato nel penale di risonanza favorisce un fraseggio incisivo, limpidissimo, voce a una cantabilità dai colori pronunciati anche negli interminabili trilli del secondo movimento, strumento di un percussionismo raffinato tutto beethoveniano dove il tocco sicuro e asciutto non lascia spazio alla minima sbavatura (a eccezione di un po’ di durezza in passaggio tra due trilli nel secondo movimento, ma si finisce col cercare il pelo nell’uovo). Una trasognante fantasia di Schumann, la terza dal Fantasiestücke op. 12, bis generosamente donato dal pianista coreano a un pubblico sinceramente entusiasta, concede una boccata di estasi meditativa prima di perdersi nuovamente nel turbinio della Settima di Beethoven.
Quello di Chung è un vero e proprio magistero direttoriale e la Filarmonica, rimpolpata negli archi e nei fiati, dipana uno spettro timbrico e un velluto davvero impressionante. Dalla penombra del concerto per pianoforte sgorgano adesso radiose le assertive arcate del Poco sostenuto - Vivace in un gioco di crescendo rinnovato a ogni ripetizione. L’espressività del fraseggio trova il suo massimo compimento nella marcia funebre dell’Allegretto, una coinvolgente parabola in cui il maestro coreano carica tutte le note ripetute della lugubre metrica con una potenza drammatica affilata e con dinamiche che si estendono fino al pianissimo più etereo. Il Presto è un vero omaggio alla danza e alla natura, strette nel vortice di un’appassionata ridda tra le sezione dei fiati e degli archi perfettamente commisti in un unicum strumentale d’alta scuola. L’Allegro con brio è infine un inarrestabile torrente in piena che Chung cavalca con assoluta padronanza della partitura, senza rinunciare a raffinati schemi esecutivi che proteggono la resa da una sfrenata cavalcata. La calibrazione del crescendo finale merita tutta l’ovazione tributatagli dal pubblico in visibilio e Il galop dell’ouverture dal Guillaume Tell di Rossini segna la conclusione di una serata memorabile. Nel periglioso mare dell’interpretazione musicale, Myung-Whun Chung sa oltrepassare quella foce stretta dove Beethoven segnò i suoi riguardi.