L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Barocco destrutturato

 di Antonino Trotta

Splendida chiusura per il MITO SettembreMusica 2018 con l’Orchestra Sinfonica della Rai, Stanislav Kochanovsky e Enrico Dindo: due capolavori distanti anni luce si incontrano per il concerto dedicato ad “Altre Danze”.

Torino, 18 Settembre 2018 – Ascoltare musica classica dal vivo è un processo cognitivo di innegabile fascino ed è un privilegio poter seguire il continuum evolutivo di un’onda che rimbalza nello spazio immobile di una crepuscolare sala da concerto per poi prendere forma da un’inanimata vibrazione meccanica. Le leggi alla base della fenomenologia dell’ascolto, però, non si aggrappano esclusivamente alla severa fisica del suono bensì ereditano dalla sensibilità personale un codice ermeneutico, spesso irrazionale, che cifra la singolarità del percepito personale. Pertanto non è raro perdersi, nelle esecuzioni dal vivo, in un labirinto di intense suggestioni altrimenti piallate via dall’avarizia di una riproduzione digitale. È questa il caso dell’Azul di Osvaldo Golijov, prima esecuzione italiana e brano di apertura nell’appuntamento finale del MITO SettembreMusica, dedicato alla memoria di Renzo Brancaleon, primo violoncello dell’OSN Rai fino al 1989.

Golijov prende come riferimento le Leçons de Ténèbres di François Couperin e in effetti in Azul si ritrova quella nobiltà elegiaca e quella tristezza idilliaca tipica di molti episodi del tardo Seicento francese. Si tratta tuttavia di un barocco destrutturato da cui il compositore argentino, con grande spirito di frontiera, trae solo spunti strutturali reinventati secondo i canoni di un linguaggio totalmente differente. La foggiatura di atmosfere evanescenti e immersive parte innanzitutto dalla ricerca di una spazialità ben costruita: niente americana o tedesca, Golijov predispone una specularità nella geometria orchestrale tale da restituire il suono in una tridimensionalità disarmante e Stanislav Kochanovsky, sul podio, finalizza il lavoro con una concertazione di grande effetto negli impasti strumentali (in particolar modo se si tiene in conto l’amplificazione del violoncello e del basso continuo costituito da fisarmonica, percussioni e suoni campionati riprodotti dalla tastiera elettronica). Il violoncello solista custodisce la scintilla primigenia e Enrico Dindo, strumento di una cantabilità straziante e rarefatta, brilla per la qualità del suono in una scrittura così acuta che non trascura parentesi virtuosistiche complesse ed enigmatiche. Nel corso dei quattro quadri (Paz Sulfúrica, Silencio, Transit e Yrushalem) si ha l’impressione di contemplare l’immensità dell’universo in un lento processo di realizzazione: il suono oscuro delle battute di sortita acquista man mano una densità materica sempre più consistente e implode nell’ancestrale danza centrale; solo nel finale squarci melodici nitidi affioreranno come oasi isolate e rassicuranti su uno sfondo dalla morfologia terracquea riconoscibile per poi spegnarsi definitivamente con un’interinabile serie di allucinanti glissandi discendenti degli ottoni e degli archi in diminuendo (splendidi per pulizia e precisione i complessi dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai). Invano, nei circa trenta minuti di esecuzione, cercare un appiglio a reminiscenze pulite (in alcuni punti il rimando a Bach, all’inizio del primo trio di Rachmaninov, a Morricone sembra tangibile). Non un solo passaggio rimane impresso nella mente eppure il fardello emotivo legato a quest’esperienza musicale lascia esterrefatto il pubblico che lentamente si abbandona, incredulo, in un crescendo di applausi.

Spiazzante il contrasto con la Quarta Sinfonia, quasi banale nel confronto con il brano precedente, ma Stanislav Kochanovsky offre una lettura maestosa del capolavoro di Brahms. Anche in questo episodio gli echi del Barocco si protraggono in un’architettura sfacciatamente romantica attraverso l’uso, nell’ultimo movimento, di una Ciaccona derivata sul tema della Cantata BWV 150 di Bach. La direzione del maestro russo si esplica per gradi, con una costruzione che rinvigorisce nel fluire dei quattro tempi. L’Allegro non troppo esordisce con arcate solenni e imperiose protratte in un climax sopra cui si staglia vittoriosa la fanfare dei fiati prima dei possenti staccati tra i legni e gli archi. Kochanovsky modella con grande plasticità le dinamiche e le relazioni agogiche del primo movimento, conferendo alla densa scrittura un ampio respiro. Procede con la stessa intensità l’Andante moderato, estremamente lirico nel fraseggio ma autorevole nelle esplosioni centrali. Kochanovsky alleggerisce quindi l’Orchestra nell’Allegro giocoso e nell’Allegro energico e passionato finale, punto di massimo splendore dell’intera sinfonia. I tempi staccati sono vorticosi, ma l’OSN della rai asseconda con estrema precisione tutti gli incipit del direttore senza rinunciare alle sfumature coloristiche più raffinate. Il risultato complessivo è grandioso e tra gli entusiasmi di una platea finalmente a suo agio in un contesto musicale più ordinato – ma non ordinario! – arriva, nella rassegna dedicata alla danza, la trascinante Quinta Danza Ungherese.

Si chiude così, nell’effervescenza di una serata dalle contrastanti sensazioni, la dodicesima edizione del MITO SettembreMusica. Milano e Torino si lasciano alle spalle, dopo sedici giorni di intensa programmazione, i ricordi di un percorso sapientemente tracciato e senza guardarsi indietro rivolgono lo sguardo verso le novità della prossima stagione.


 

 

 
 
 

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