Arrivederci, al Nuovo mondo
Emozionato e commosso, Michele Mariotti saluta il pubblico bolognese con il suo ultimo concerto sinfonico in qualità di direttore musicale del Teatro Comunale.
BOLOGNA, 29 novembre 2018 - Non sarà stato forse il più bello, ma di certo il più emozionato ed emozionante fra i concerti diretti da Michele Mariotti nella stagione sinfonica del Comunale, quello che, giovedì 29 novembre ha segnato la conclusione dell'esperienza del maestro pesarese come direttore musicale del Teatro. In realtà sarà il Don Giovanni in scena dal 15 dicembre l'ultimo vero impegno bolognese di Mariotti in carica, ma il concerto, nell'esclusività del rapporto fra orchestra e podio, nella centralità di quest'ultimo senza luci puntate sul palcoscenico, meglio si addice alla commozione del commiato.
Commozione reale e non metaforica o di circostanza, è quella che tradisce Michele Mariotti nel salutare, con un breve discorso finale, la città, il pubblico, i musicisti e tutti i compagni di viaggio del Comunale. Dieci anni son passati, da quando, giovanissimo, divenne direttore principale e, poi, nel 2013 direttore musicale; dieci anni non privi delle turbolenze che agitano le vite delle fondazioni liriche, ma segnati sempre da una serenità di rapporti fra il maestro e i complessi che si è concretizzata in esperienze memorabili, come Le nozze di Figaro del 2012, il Guillaume Tell del 2014 [leggi la recensione], La bohème dello scorso gennaio [leggi la recensione], per non parlare dello Stabat Mater all'Archiginnasio per il centocinquantesimo dalla morte di Rossini [leggi la recensione].
Il programma scelto per l'occasione ha un indubbio valore simbolico, con la terza sinfonia di Brahms, autore che Mariotti ha cominciato a frequentare sempre più assiduamente proprio a Bologna, e la nona di Dvořák , quella Sinfonia dal Nuovo mondo che sembra slanciarsi con forza propulsiva nella nuova vita del direttore e dell'orchestra dopo diverse e composite esperienze comuni. Due pagine cui la ricorrenza tematica conferisce compattezza, ma anche vitalità dialettica, una, quella di Brahms, costituisce un vertice ideale, limpido nella costruzione, dell'arte sinfonica, per varietà, unitarietà, sapienza d'orchestrazione; l'altra, quella di Dvořák mette a confronto i linguaggi delle forme classiche, delle radici slave e delle suggestioni americane con uno slancio continuo, una pulsazione energica in cui l'orchestra si butta a capofitto, forse anche sull'onda emotiva della serata.
Un'onda emotiva che cresce fino agli applausi interminabili di un pubblico che, in questi dieci anni, ha dimostrato un profondo, sincero affetto verso Michele Mariotti. Un affetto ricambiato che, speriamo, sarà ripagato da futuri nuovi incontri. Nel frattempo, il saluto commosso è un augurio reciproco per il futuro.
foto Rocco Casaluci