Lo scrigno dello Stabat Mater
di Roberta Pedrotti
Per il centocinquantesimo dalla morte di Rossini il Teatro Comunale si collega virtualmente con la splendida Sala dello Stabat Mater, sede della prima esecuzione italiana del capolavoro rossiniano. Di rilievo l'esecuzione, diretta da Michele Mariotti con le voci di Yolanda Auyanet, Veronica Simeoni, Antonino Siragusa e Marko Mimica.
BOLOGNA, 24 maggio 2018 - Il 13 novembre di centocinquant'anni fa moriva, a Passy, Gioachino Rossini. Il 18 marzo del 1842, sotto la direzione di Gaetano Donizetti, il suo Stabat Mater aveva debuttato a Bologna, la città della gioventù, ora amata e odiata, abbandonata infine definitivamente per Parigi. Eppure in quest'occasione i cittadini che l'avrebbero contestato per questioni politiche nel 1848 lo festeggiano con calore straordinario e per tre sere consecutive si affollano intorno alla sala dell'Archiginnasio ora detta, appunto dello Stabat Mater, per carpire qualche nota del nuovo capolavoro del Maestro. Stipati nei corridoi adiacenti, sullo scalone, nel cortile, con le strade adiacenti interdette al traffico delle carrozze per favorire l'ascolto, mentre oltre centocinquanta musicisti, fra soli coro e orchestra, occupano la sala quasi interamente.
Oggi lo Stabat Mater torna nello spazio cui ha dato il nome, attualmente sede per lo più di incontri e conferenze. Non è la prima volta; se ora ricorda la morte di Gioachino, nel 1992 ne celebrò la nascita con Riccardo Chailly, Daniela Dessì, Gloria Scalchi, Giuseppe Sabbatini e Michele Pertusi. Allora, però, per coinvolgere un pubblico che mai si sarebbe potuto contenere all'Archiginnasio con moderni criteri di sicurezza e fruizione, si programmò anche un'esecuzione nella Basilica di San Domenico. Diversa la scelta attuale, che punta tutto sull'unicità dell'evento e del luogo, con il suo carico simbolico e suggestivo. Come i bolognesi che centosettantasei anni or sono si assiepavano intorno al luogo dell'esecuzione, così i bolognesi del 2018 si riuniscono in teatro per carpire, ancora una volta, quel che avviene nella Sala dello Stabat Mater. L'ascolto a distanza si aggiorna con la tecnologia e l'effetto risulta, per certi versi, straniante, con la vicinanza delle inquadrature a fare il paio con la distanza fisica fra pubblico e artisti.
Bisogna dire che dal punto di vista tecnico, se tutto può esser perfettibile, il lavoro svolto è parso ottimo. Buona la definizione delle immagini, buono il sincrono con l'audio, un po' meno forse gli stacchi delle inquadrature sui dettagli, ma si tratta pur sempre di una diretta e tutto è filato liscio. Soprattutto si è apprezzata la resa del suono, con nitidissimi dettagli (come i pizzicati o le diverse arcate di violini viole e contrabbassi) spesso penalizzati in streaming e riprese radiotelevisive. Se anche la diffusione dalle casse non potrà mai restituire appieno la fisicità e gli equilibri del suono dal vivo, la resa spaziale, la definizione, il calibro acustico sono di alto livello e permettono di apprezzare un'esecuzione che meriterà senz'altro di essere consegnata al disco (e al Dvd, magari?). Anzi, in questa dimensione virtuale più vera del vero siamo forse immersi in una nuova idea di riproduzione del suono, figlia del concerto classico, dell'incisione, delle sperimentazioni sulla musica elettronica e acustica. Quali siano gli orizzonti e i rischi, quale possa essere il futuro, al di là dell'eccezionalità di un evento che sembra nato per essere unico, è una storia ancora da scrivere. Di certo, il contatto fisico fra interprete e pubblico resta insostituibile, ma per portare la sala dell'Archiginnasio, con tutta la sua storia, nel Comunale e da lì ai computer connessi a internet di tutto il mondo era difficile far di meglio. A tratti solo qualche piega nello schermo che occupava il boccascena pareva ricordare che quella era solo una proiezione, che non eravamo immersi nello Stabat Mater.
Tutto funziona, soprattutto, perché quel che si ascolta è di valore. Non ci sorprende, per le tante occasioni in cui – benché mai a Bologna – questi interpreti hanno affrontato il capolavoro rossiniano, ma è un piacere riscontrare ancora una volta la lucentezza di Antonino Siragusa, che inanella sovracuti con la nonchalance di chi conosce bene la differenza fra musicalità e atletismo vocale. A Marko Mimica, poi, questa partitura calza come un guanto e gli permette di dispiegare con autorità un velluto timbrico di fascino raro. Parimenti, le voci femminili si sposano con eleganza e complementarietà di colori e intenzioni, in equilibrio e reciproco scambio fra lo stilizzato e il volitivo, fra la chiarezza d'articolazione di Veronica Simeoni in un sentito “Fac ut portem” e la lama di Yolanda Auyanet negli acuti del drammatico “Inflammatus”. Il coro del Comunale, preparato da Andrea Faidutti, offre una delle sue migliori prove per impasto timbrico, ispirazione, pulizia. Anche l'orchestra conferma di meritare gli applausi tributatile anche in altre occasioni nello Stabat Mater: sotto la guida minuziosa di Michele Mariotti – che con questo capolavoro rossiniano sembra avere un'affinità particolare – la partitura si dipana con chiarezza esemplare, incisività di fraseggio, fluida varietà espressiva. Paradigmatici il quartetto “Sancta Mater”, con la sua allettante dolcezza e il suo pathos sentito anche nella trina ritmica dei pizzicati, e l'“Amen” finale, che guarda nella maestà della fuga a Bach e a Haendel animandosi, tuttavia, di contrasti nuovi, rinnovando tensioni e distensioni, speranza e abisso con una modernità ineludibile.
Viene spontaneo applaudire, ma nessuno, là nello scrigno dello Stabat Mater, ci potrà sentire. Applaudiamo ugualmente, con un'emozione strana e profonda. L'evento non è santificato dai crismi della serata di gala e il pieghevole di sala mantiene la grafica minimalista in bianco e nero della stagione sinfonica; la festa cittadina non si celebra con un ecumenico maxischermo a ingresso libero (c'è lo streaming gratuito sulla piattaforma operavision.eu, ma per la diffusione in teatro si staccavano regolari biglietti), né si circonda di fitti calendari collaterali. C'è solo lo Stabat Mater, anzi uno splendido Stabat Mater, là dove era apparso per la prima volta in Italia nel XIX secolo, ci siamo noi, uomini e donne del XXI secolo, che ci connettiamo con quello scrigno in virtù delle tecnologie moderne. Chi lo avverta, potrebbe anche commuoversi.
foto Rocco Casaluci