La musica da camera fa spettacolo
L’Accademia Nazionale di Santa Cecilia dà vita a un vero e proprio show di stelle della musica classica, in un concerto di musica da camera: Marta Argerich, Mischa Maisky e Antonio Pappano affiancano valenti esecutori in una serata all’insegna di una musica proprio spettacolare. Dopo un alternarsi di brani cameristici di varia natura, il pezzo forte è, alla fine, Le carnaval des animaux, che suggella una serata, direi, perfetta.
ROMA, 16 dicembre 2018 – Raramente ci si riesce a godere, in una sala da concerto, un’esibizione come quella della scorsa domenica all’Accademia Nazionale di Santa Cecilia: Martha Argerich, Antonio Pappano e Mischa Maisky sullo stesso palco a dare vita a un programma musicale ricchissimo, popolare, ma certo non banale. V’è un’occasione speciale da festeggiare: lo scambio culturale fra Roma e la città nipponica di Ōita, celebre in Giappone proprio per il suo culto della musica classica. Questo scambio culturale è stato reso possibile dalla “Argerich Arts Foundation” che promuove l’evento “Argerich’s Meeting Point in Beppu”, cioè un periodo in cui la Argerich è artist in residence nella succitata città. Proprio tale gemellaggio culturale italo-nipponico è al massimo grado evidente fin dall’avvio del concerto, che si apre graziosamente con la Sonata in mi minore per due violini op. 3 n. 5 di Jean-Marie Leclair, eseguita da Kyoko Takezawa e Yasushu Toyoshima: i due violinisti, di virtuosistico talento, leggono con brillantezza, scioltezza e gusto autenticamente settecentesco lo stile galante di Leclair, particolarmente attenti ai respiri delle brevi melodie, al coordinamento dei virtuosismi, alle sfumature argentine del suono del violino. Caldi applausi ringraziano, giustamente, gli interpreti. Dopo questo stuzzicante antipasto, entrano in scena (non senza qualche divistico ritardo) Marta Argerich e Mischa Maisky, che si apprestano ad eseguire, di sèguito, Schumann e Šostakovič. Il primo pezzo sono i Fantasiestücke per violoncello e pianoforte op. 73 di Robert Schumann: l’armonia fra i due esecutori è impressionante, visto e considerato che li hanno eseguiti assieme diverse volte. La Argerich imposta un velluto sonoro perfetto, trapunto di interventi melodici, su cui si staglia la voce languida, sensuale, talora più spedita (come nell’ultimo dei pezzi) del violoncello di Maisky. I due interpreti esaltano la calda melodiosità di sentimenti musicali schumanniani adatti a un famigliare interno borghese. Di ben altra pasta, invece, è la Sonata in re minore per violoncello e pianoforte op. 40 di Dmitri Šostakovič, che racconta una storia d’amore, anzi tecnicamente ne sovrappone due, quella tormentata del compositore con la moglie e l’infatuazione dello stesso per una giovane donna. Come ben racconta Piero Rattalino nel programma di sala, la sonata è strutturata in quattro movimenti distinti dove, alternativamente, prevale il violoncello o il pianoforte. Al timbro del violoncello è affidato il compito semantico di evocare i sentimenti d’animo del compositore, ove invece il pianoforte ne esalta più le euforie. Maisky legge con notevole profondità il brunito lirismo del I movimento, dove la Argerich cavalca il virtuosismo percussionistico del II; nel III Maisky scurisce ancor più la melodia, accompagnato da un mesto pianoforte: nel IV, invece, il virtuosismo vagamente ironico, anzi qui quasi sardonico, di Šostakovič emerge in tutto il suo splendore e la Argerich e Maisky danno del loro meglio. Gli applausi sono fragorosi.
Il secondo tempo è aperto dalla spassosa, ma non irriverente, parodia che Peter Heidrich ha composto del celeberrimo, classico tema di tutti i nostri compleanni (cioè Happy Birthday): si tratta delle Happy Birthday variations (nn. 1-6 e 14), ispirate a diversi compositori (Haydn, Mozart, Beethoven, Brahms), di cui Heidrich riassume in pochi minuti i tratti stilistici salienti, sovente con citazioni motiviche ad litteram. Il pezzo è ben eseguito da Kyoto Takezawa, Yasushu Toyoshima, Raffaele Mallozzi e Diego Romano. Il momento forse più atteso dell’intero concerto è giunto: Le carnaval des animaux di Camille Saint-Saëns. Una sfilata di celebrità prende posto: ai due pianoforti Antonio Pappano e Marta Argerich, al violoncello Mischa Maisky. Ma il resto degli interpreti ha saputo ben tenere testa in quanto a talento: Andrea Oliva (flauto e ottavino), Stefano Novelli (clarinetto), Kyoto Takezawa e Yasushu Toyoshima (violini), Raffaele Mallozzi (viola), Antonio Sciancalepore (contrabbasso), Edoardo Giachino e Andrea Santarsiere (percussioni). Tutta l’opera, profondamente satirica e parodica, è eseguita magnificamente, ma alcuni pezzi risultano indimenticabili. Fin dall’attacco, vuotamente pomposo, l’ensemble dà prova di cogliere il lato eminentemente ludico del pezzo: la marche royale du Lion è divertente e tronfia al punto giusto. Che dire, poi, degli effetti mimetici dei versi degli animali da aia in Poules et Coqs o de Le coucou au fond des bois (dove Novelli si va a porre dietro un séparé in legno), o ancora l’imitazione del volo degli uccelli in Volière, dove il flauto si staglia volteggiante sopra gli effetti screziati del pianoforte e dei vibrati degli archi? Indimenticabile, pure, l’effetto di sonnolente avanzata del pachiderma ne L’Éléphant. Memorabile, però, l’esecuzione di Aquarium, non solo per la liquida bellezza della melodia, porta con magnifica sapienza esecutiva, ma anche perché il percussionista alla glassarmonica ha indossato una maschera subacquea durante tutto il pezzo. Il valore scopertamente parodico dell’opera è forse sommamente evidente soprattutto in Fossiles, dove l’(auto-)ironia di Saint-Saëns si appunta non solo sulle opere più in voga (come le arie rossiniane), ma anche sulla propria musica, creando un potpourri di citazioni deformate e scandite dal ritmo argentino dello xilofono. Dolce e sensuale l’esecuzione de Le Cygne, che gode (assieme a altri pezzi dell’opera) di una fama incredibile. Tutto il pubblico, naturalmente, viene trascinato nel famoso Finale: gli applausi sgorgano a fiumi.
foto © Musacchio, Ianniello & Pasqualini