Non è più difforme? Più strana è la cosa
di Roberta Pedrotti
Ripresa annacquata per il Rigoletto firmato registicamente da Alessio Pizzech, ben altrimenti riuscito nella versione originale del 2016. Il cast vocale non brilla, nonostante il sostegno e le attenzioni dell'ottima bacchetta di Matteo Beltrami.
BOLOGNA, 19 marzo 2019 - Difficile dimenticare il Rigoletto andato in scena a Bologna nell'autunno 2016 con la regia di Alessio Pizzech [leggi la recensione], né la soddisfazione di pensare all'ingresso di questo allestimento nel repertorio del Comunale. Soprattutto, convinceva lo sviluppo dei due cardini della drammaturgia: un Rigoletto non tanto difforme nel fisico, quanto lacerato nell'identità e nella morale, sgargiante Drag Queen ad animare i festini del Duca, piccolo borghese benpensante fuori dal palazzo; una visione speculare della donna come oggetto da possedere, per l'iperprotettivo padre di Gilda una perfetta bambola da collezione eternamente bambina, per la corte libidinosa strumento di piacere da usare e gettare. Ora, di questo non rimane che una pallida ombra e lo spettacolo rivisto per l'esportazione nella tournée nipponica di giugno e ci si chiede se saranno stati i giapponesi, cultori nelle arti delle invenzioni erotiche più fantasiose, ad aver suggerito questa "normalizzazione".
Di certo l'aver eliminato la difformità morale del buffone (e l'ambiguità del travestimento: è costretto dal Duca o è invece la sua natura repressa nel quotidiano?) toglie forza e originalità alla lettura, surrogandole con una malformazione al braccio molto meno efficace, anche perché non si capisce come lo stesso dolore e disagio fisico non potesse allora esser reso ugualmente con la cara vecchia gobba. Lo scambio fra cifosi e focomelia appare ininfluente. Se, poi, intorno alla figlia di Monterone e a Gilda si elimina il cumulo di altre bambole abusate e disarticolate, svapora il senso e l'effetto di diverse forme di possesso fisico, erotico o genitoriale.
Quel che resta è, insomma, uno spettacolo di buona professionalità, ma innocuo, mentre innocua non era la prima versione, né l'intenzione dichiarata di Verdi nello scegliere il soggetto del dramma di Hugo.
Dispiace soprattutto perché il calo della tensione teatrale va di pari passo con una resa vocale interlocutoria, benché sul podio Matteo Beltrami riesca a combinare al meglio l'attenzione per il palcoscenico e le esigenze dei solisti con la cura per il fraseggio orchestrale, con soluzioni anche di pregio ed evitando puntature fuori ordinanza e altri vezzi di tradizione. Pazienza, dunque, se cade la ripresa della cabaletta del Duca, in quest'occasione Stefan Pop: spavaldo ed esperto della parte, voce robusta, arrogante e quasi rude inizialmente, alla ricerca di colori più leggiadri nel terzo atto, ma senza sfuggire alla tentazione di qualche falsetto. Anche Alberto Gazale è un assiduo frequentatore di Rigoletto, e se la resa vocale non è più quella degli anni d'oro, anzi, denuncia qualche sbandamento d'emissione e qualche inflessione parlante di troppo, restano almeno la perizia dell'ottimo attore e la consapevolezza dell'accento. Cosa questa che non si può dire della Gilda di Lara Lagni, sospesa nel fraseggio fra il bamboleggiante e l'anodino, senza nemmeno poter sfoggiare in compenso, al di là di un paio di messe di voce in “Caro nome”, uno smalto belcantistico particolarmente prezioso.
Abramo Rosalen non sarà un vero basso profondo, ma è uno Sparafucile efficace e ben calibrato, mentre Anastasia Boldyreva, Maddalena, si ricorderà più per le splendide gambe che per l'emissione fosca e opaca. C'è poi Nicolò Ceriani, come sempre ottimo interprete, ma la cui voce è più brillante che sinistra, fa pensare più che a Monterone a Marullo, che invece è appannaggio del disinvolto Abraham Garcia Gonzalez. Rosolino Claudio Cardile è un brillante Borsa e completa il cast con il Ceprano di Simone Marchesini, la contessa di Aloisa Aisenberg, la Giovanna di Laura Cherici e il paggio di Chiara Notarnicola.
Gli applausi alla prima non mancano, ma senza entusiasmo, per tutti gli interpreti, fra i quali ricordiamo anche il coro diretto da Alberto Malazzi, lo scenografo Davide Amadei, la costumista Carla Ricotti, Claudio Schmid e Daniele Naldi per la creazione e la ripresa delle luci, Isa Traversi per i movimenti coreografici.
foto Rocco Casaluci