Cina in controluce
di Giuliana Dal Piaz
Turandot secondo Robert Wilson arriva anche a Toronto, in coproduzione con Madrid, Houston e Vilnius.
TORONTO Un tempo si parlava di edizioni di un’opera lirica in base agli interpreti principali e all’impostazione data dal direttore d’orchestra: per una Turandot, avremmo ricordato quella diretta da Zubin Mehta o da Karajan. Da qualche decennio, invece, le produzioni si caratterizzano maggiormente anche a seconda del regista che ne cura la messa in scena. L’apertura della Stagione 2019-20 della Canadian Opera Company porta quindi, per la sua Turandot, il nome di Robert Wilson, nella co-produzione che la stessa C.O.C. ha realizzato con il Teatro Real di Madrid, la Houston Grand Opera e il Teatro Nazionale Lituano d’Opera e Balletto di Vilnius.
Originario del Texas, Wilson è un noto regista teatrale che ha variamente collaborato con artisti famosi, dal compositore Philip Glass al ballerino Mikhail Baryshnikov fino a Lady Gaga. È questa la sua prima produzione per la C.O.C., alla cui messa in scena collabora il regista tedesco Nicola Panzer: con la scenografa Stephanie Engeln, costruiscono un set moderno e minimalista, in cui dominano gli effetti visuali e lo scorrere sul palcoscenico – alle spalle dei personaggi – di pannelli scuri rettangolari di dimensioni diverse, a creare alternanze di luce e ombra, con uno sfondo che ricorda il cielo pallido dell’alba. Il cielo viene attraversato, all’aprirsi del sipario, dal volo lento di una cicogna.
Quello che colpisce di più è la fissità dei personaggi: coi volti simili a maschere bianche su cui spiccano le linee scure di occhi e bocche, limitano i movimenti a piccoli lenti gesti di braccia e mani. “Come faccio in tutte le mie produzioni – scrive Wilson nella sua nota introduttiva – che diriga Shakespeare, Sofocle, Beckett o Wagner, i volti degli attori sono coperti di biacca con su disegnati lineamenti espressionisti. Grazie al contrasto tra chiaro e scuro, lo sguardo è immediatamente attratto dalle loro facce. […] Sono come personaggi di un film muto, del vaudeville o della commedia dell’arte, con il loro aspetto esagerato.[…] Mettendo in scena Turandot, lo si fa spesso utilizzando false cineserie stravaganti, tutti gli stereotipi della cultura cinese. Ma con la musica di Puccini, bisogna stare attenti a non strafare”.
Anche i costumi, che sembrano ispirati a quelli dei famosi guerrieri di terracotta, giocano sulla combinazione di bianco e nero, grigio scuro nel caso del coro; l’Imperatore – sospeso sul palcoscenico durante le sue apparizioni, dettaglio che lascia perplessi – sfoggia un curioso costume molto gonfio. In tutta l’opera, le uniche macchie di colore sono date dalla tunica turchese del mandarino e dall’ampia, rigida veste rosso fiamma di Turandot. In forte contrasto con il generale muoversi al rallentatore dei personaggi – spesso solo delle suggestive silhouette sullo sfondo di quell’albeggiare –, risulta del tutto incongrua la maniera in cui si presentano Ping, Pang e Pong, i tre ministri/burocrati di Turandot: i tenori statunitensi Julius Ahn e Joseph Hu, e il baritono moldavo Adrian Timpau, sono costretti a cantare il loro terzetto saltellando di continuo da un lato all’altro del palcoscenico; e continuano a saltellare, turbando la concentrazione del pubblico, anche mentre Turandot propone a Calaf i suoi enigmi.
Il russo Sergey Skorokhodov è un tenore lirico-leggero dalla voce chiara, più adatta ad Alfredo Germont che a Calaf, ma sostiene il ruolo dignitosamente (un paio di note false quando intona “Inutili preghiere, inutili minacce” e nel duetto finale). La statunitense Tamara Wilson, distintasi finora come buon soprano lirico, si sta avvicinando rapidamente al rango drammatico necessario per Turandot, mentre la canadese Joyce El-Khouri dà buona prova di sé nella parte di Liù. Anche il livello dei comprimarî è decisamente buono, in particolare il basso statunitense David Leigh (Timur), il basso-baritono canadese Joel Allison (il Mandarino) e citato Adrian Timpau (Ping).
Vigorosa e intensa la concertazione del maestro Carlo Rizzi, alla guida di un’orchestra che risponde con professionalità. Vocalmente straordinario, nonché teatralmente efficace, il coro diretto da Sandra Horst.
Foto di scena: Michael Cooper