Catarsi in discarica
di Irina Sorokina
La nuova produzione di Rusalka al festival di Erl rievoca con delicatezza le atmosfere della fiaba con un richiamo forte e ben sviluppato al mondo contemporaneo. Soprattutto però entusiasma la resa musicale, d'alto livello pur senza nomi altisonanti.
Erl, 30 dicembre 2019 - Grandi cambiamenti, anzi, una vera rivoluzione al Tiroler Festspiele Erl. Dopo quasi due decenni di regno del grande Gustav Kuhn che hanno visto la crescita continua del festival organizzato nel minuscolo paesino ai piedi del maestoso Kaisergebirge, il maestro cresciuto a Salisburgo non è più presente, ha dovuto abbandonare in seguito alle accuse di gestione troppo autorevole e addirittura molestie. Dal 1 settembre 2019 è cominciata una nuova era nel segno dell’Opera di Francoforte: il suo sovrintendente Bernd Loebe ha assunto la direzione del festival tirolese e ha coinvolto nelle sue produzioni i magnifici solisti del teatro del capoluogo dell’Assia.
Per inaugurare il Tiroler Festspiele Erl Winter è stato scelto un titolo abbastanza noto e molto presente nei cartelloni dei teatri europei e americani, ma certo non facile: Rusalka di Antonín Dvorák. La scelta è risultata efficace e l’esito pressappoco brillante, soprattutto per quanto riguarda la parte musicale. Quanto a quella teatrale, sulla Rusalka tirolese ha messo lo zampino il Regie Theater, cosa, secondo la nostra opinione, è stato inevitabile, visto che la squadra proviene dalla Germania. Tuttavia, si può emettere un sospiro di sollievo: la povera Rusalka con la protagonista così umana e commuovente, non è caduta vittima di mutilazioni spesso insensate e fastidiose dovute alla regia. Il senso dell’opera del genio boemo è stato conservato ed è stato aggiunto, in modo piuttosto ragionevole e delicato, qualcosa che collega quest’opera bellissima a una triste contemporaneità.
È un allestimento piuttosto austero, frutto della collaborazione della regista Florentine Klepper (tra i suoi lavori recenti si ricordano Arabella a Salisburgo, Norma e Salome a Graz, Don Giovanni a Klagenfurt), scenografa Martina Segna, costumista Anna Sofie Tuma, drammaturgo Mareike Wink. L’atto primo ci porta nella profondità del lago, fra atmosfere cupe e sfumature varie di verde e blu, dove vivono la Rusalka e le ninfe. Le ragazze, in magliette semplici e lunghissime gonne a strati che adoperano come fossero le code, sono appese ai ganci che potrebbero essere degli ami da pesca o le ancore delle barche. Questi sono il loro collegamento col mondo lassù, e le sirene si accontentano. Loro si, ma Rusalka no. Sfoglia una rivista voluminosa a colori che le fa scoprire il mondo degli umani che praticano quella strana cosa, l’amore, appunto. Sono vani gli avvertimenti del saggio e amorevole padre, il Wasserman, l’Uomo delle Acque. Non gli rimane che consigliare alla figlia di rivolgersi alla strega Ježibaba che esaudisce il desiderio di Rusalka a un costo molto alto. Lascia il nativo lago, la ragazza, aggrappandosi al gommone dal vistoso colore rosso che diventa il luogo della sua trasformazione in un essere umano.
Florentine Klepper sceglie toni piuttosto forti e trova soluzioni originali per raccontare la storia tanto infelice quanto toccante del desiderio dell’essere che appartiene alla natura di vivere la passione umana. Il secondo atto illustra l’esistenza vuota degli abitanti del castello che sono coinvolti in una festa svoltasi in un campo da golf. Sono tutti vestiti di bianco candido, compresa l’ammagliante e intrigante Principessa Straniera e “armati” dalle mazze da golf. Tra gli ospiti che si uniscono in un parco splendido baciato dal sole e con lo sfondo di cime innevate che somigliano assai al Kaisergebirge, si aggira la povera Rusalka con la sua maglietta nera, gonna verde acqua ed è muta. Non è muta soltanto perché la condizione posta da Ježibaba è la perdita della voce, è muta che perché non ha niente da dire a queste persone che la prendono in giro con una cattiveria sottile: il regalo di nozze è un megafono. E la mazza da golf conferma il suo ruolo di arma nelle mani della sirena disperata che si accanisce contro questa gentaglia prima di scomparire trascinata dal padre nella profondità del lago.
Facile a dire, scomparire. Non è soltanto la necessità di uccidere l’uomo amato, ma anche la scomparsa del posto dove ritornare: finché la Rusalka viveva nel castello, il suo lago si è prosciugato e si è trasformato in una discarica per colpa della gente che vive lassù. Una catastrofe ambientale che rispecchia perfettamente quella umana. Povera Rusalka, poveri noi condannati a vivere tra la gente senza cuore e circondati dalla marea di plastica usata.
Per quanto questa Rusalka, ideata da una squadra dalla forte presenza femminile (alla Klepper, la Segna, la Tuma e la Wink si aggiunge la direttrice del coro del festival Olga Yanum), appaia efficiente ed intelligente, la sua vera forza è il cast che non presenta star acclamate dal più vasto pubblico. Sono tutti grandissimi professionisti dotati di spiccate personalità, ottimi attori e cantanti eccellenti. È difficile davvero elogiare qualcuno di più degli altri, tuttavia parole speciali spettano alla protagonista, l’americana Karen Vuong nel ruolo del titolo. Dal 2013 al 2019 membro dell’Ensemble dell’Opera di Francoforte, ha al suo attivo ruoli diversi come Almirena (Rinaldo), Susanna e la Contessa Almaviva, Donna Elvira, Fiordiligi (rispettivamente Le nozze di Figaro, Don Giovanni, Così fan tutte), Micaela (Carmen), Mimì (La bohéme) e si esibisce anche nei teatri americani. La sua voce, soprano lirico pieno, possiede qualcosa di ammaliante, il timbro è altamente gradevole, dolce e lucente, l’emissione morbidissima, i registri omogenei. Non canta soltanto, ma vive ogni nota con anima e corpo. La celebre aria “Mesicku na nebi hlubokém”, nota come Inno alla Luna, è cantata con abbandono e musicalità tali da produrre un effetto magico. Karen Vuong non è da meno anche come attrice; condannata al mutismo nel secondo atto, esprime sofferenza e indignazione con il linguaggio del corpo e sguardo commuovente.
Il tenore Gerard Schneider, anche lui membro dell’Ensemble dell’Opera di Francoforte, nel ruolo del Principe è al pari della sua fidanzata lacustre, brilla per la qualità della voce, dal timbro sorprendentemente bello e inconfondibile, legato impeccabile e un’espressività al limite dell’immaginabile. Centinaia di colori, mille sfumature – questo è l’altissima arte di Schneider che gli permette di creare il personaggio del Principe in tutta la sua ricchezza umana. Il suo declamato nella scena finale, la sua morte lenta tra le braccia di Rusalka provocano una catarsi in sala.
Le prestazioni così alte di due protagonisti potrebbero offuscare il resto del cast, ma la Rusalka tirolese evita felicemente questo rischio. È davvero formidabile il giovane basso baritono Thomas Faulkner nel ruolo dello Spirito delle Acque, in possesso di una voce morbida, ben proiettata e raffinata; disegna una figura immensa, un saggio dal cuore nobile addolorato dall’azzardata scelta della figliola, molto più umano degli umani. Più di un cantante, Faulkner sembra un intellettuale a cui la natura ha fatto un dono della voce e colpisce soprattutto per la profondità dell’interpretazione.
Maliziosa e super moderna nei suoi modi la Ježibaba di Judita Nagyová che sfoggia una voce potente e ben timbrata. Non passa certo inosservata la Principessa Straniera a cui Dshamilja Kaiser dona generosamente la sua voce davvero enorme e un po’ aspra. Perfetti tutti gli interpreti dei ruoli di contorno: Steven LaBrie – il Guardacaccia, Corinna Scheurle – il Garzone di cucina e Alyson Rosales, Julia Dawson e Kelsey Lauritano – frizzanti ninfe del bosco dalle voci cristalline che formano un terzetto musicalmente impeccabile.
Sul podio, alla guida dell’orchestra del Tiroler Festspiele Erl, Alexander Prior, un enfante prodige di soli ventisei anni già a capo dell’Edmonton Symphony Orchestra, garantisce un successo strepitoso alla Rusalka tirolese. Fin dalle prime note l’orchestra sfoggia sonorità piene e mielose, dai colori variopinti. Mai e poi mai si sono sentiti gli archi così impetuosi e coinvolti, arpe così celestiali, fiati così struggenti e ottoni così minacciosi. Prior si emerge totalmente nella sofisticata partitura, con l’anima e il corpo, disegna con le mani la linea di ogni gruppo di strumenti, i suoi gesti man mano che si avvicina il tragico finale diventano sempre più ampi e quasi esagerati, parla addirittura la sua schiena. La tensione drammatica cresce a dismisura e le sonorità risultano quasi troppo intense: questa Rusalka ha tutte le probabilità di rimanere indimenticabile.
Appalusi a non finire e numerose chiamate per tutti gli artisti che sono riusciti portare il pubblico quasi all’estasi.