Magnum opus
Per il grandioso oratorio haydniano Die Schöpfung l'auditorium 'Toscanini' ospita il Coro dell'Accademia di Santa Cecilia
È indubbio che in Italia sia poco diffusa la prassi di eseguire oratori, soprattutto all'interno delle stagioni concertistiche delle principali istituzioni, uniche in grado di radunare le grandi forze orchestrali e corali spesso necessarie al compito. Non si possono dunque non elogiare i complessi della Rai che, con la partecipazione del Coro dell'Accademia di Santa Cecilia (limitata, per agitazione sindacale di protesta contro i paventati tagli alla più antica compagine vocale italiana, all'unica serata di venerdì 15 febbraio in luogo delle due in origine previste), hanno dato luogo sotto la direzione di James Conlon a una memorabile ripresa di Die Schöpfung (1796-98) di Franz Joseph Haydn (1732-1809). Lavoro imponente diviso in tre parti su testo di Gottfried van Swieten, a sua volta tratto dalla Bibbia e dal poeta inglese Thomas Linley, epigono miltoniano, il racconto della creazione prevede l'intervento di tre solisti, impersonati nella rappresentazione torinese dal soprano Sydney Mancasola (Gabriele ed Eva), dal tenore Martin Mitterrutzner (Uriele) e dal basso John Relyea (Raffele e Adamo). A impressionare, al di là degli impegnativi momenti previsti per ciascun personaggio, con punte di assoluto rapimento in una partitura tra le più ispirate e sentite di un Haydn al culmine dei mezzi espressivi, sono il perfetto accordo tra le tutte le voci e l'intesa tra queste e la massa corale, evidente in passi quali il terzetto finale della prima parte, oltre che in quello successivo "In holder Anmuth" e nel mirabile duetto di Adamo ed Eva che precede la conclusione dell'opera. Sarebbe tuttavia ingiusto non elogiare l'esecuzione di altri passi di una musica che fin dal primo ascolto rivela genio ed originalità, mantenendosi in miracoloso equilibrio tra lo stile settecentesco di cui costituisce il coronamento e il primo Ottocento di Beethoven già visibile in filigrana.
Nelle due arie riservate a Gabriele si intravedono i segni di una secolare tradizione: "Nun beut die Flur" è inserita a pieno titolo nel filone pastorale codificato da Scarlatti e Haendel, mentre la più movimentata "Auf starkem Fittige", nel rifarsi al topos del canto e del volo degli uccelli, consente al soprano di mettere in evidenza uno spiccato virtuosismo non disgiunto, nell'interpretazione della Mancasola, intonazione perfetta e timbro chiaro e possente ad un tempo, dal senso di estatico rapimento di fronte alle meraviglie del creato. Mitterrutzner, lunga esperienza nel ruolo nonostante la giovane età, rende al meglio l'intervento Mit Würd und Hoheit a lui riservato nella seconda parte: magnificando la nobiltà dell'uomo, lo smalto lucente del suo canto sa aprirsi con morbidezza a una calda ma graffiante drammaticità nella chiusa 'ihm Liebe, Glück und Wonne zu',.
Anche John Relyea, solista versatile con un'importante carriera sui palcoscenici internazionali, affronta col giusto piglio l'aria "Rollend in schäumenden Wellen" in cui, evocando la furia delle acque, non si può fare a meno di andare col pensiero alla mozartiana "Fuor del mar" da Idomeneo. Note puntate, ritmi incalzanti, salti nella melodia, sforzandi trovano, nella lettura del basso canadese, accenti di vibrante profondità, presenti pure nella seguente "Nun scheint in vollem Glanze", celebrazione trionfale e luminosa dell'immensità del cielo.
Di infinita riconoscenza dobbiamo però essere debitori al Coro di Santa Cecilia che, sotto la guida del maestro Ciro Visco, si conferma una realtà duttile e dispensatrice di emozioni autentiche in qualsiasi repertorio. Ogni pezzo di questa Creazione è fronteggiato con una varietà di sfumature, di colori, di espressioni capace di infondere senso compiuto addirittura alle minime battute, espandendosi dai sussurri dell'esordio, come scaturiti dal silenzio, alla gloria fastosa dell'epilogo.
James Conlon, dal canto suo, si conferma validissima guida dell'Orchestra Sinfonica Nazionale, non solo nella vasta introduzione col celebre passaggio, ardito e ammirato fin dai contemporanei di Haydn, dal caos senza tonalità precisa alla luce divina del do maggiore ma anche nella rifinitura dei numerosi passi dove il compositore dissemina, grazie a un insuperabile senso della strumentazione, una scrittura ora sublime ora umoristica, col trombone o la linea pesante degli archi gravi ad imitare rispettivamente il ruggito del leone o lo strisciare al suolo dei vermi. Di Conlon soprattutto si apprezza il senso di dinamismo e vivida narrazione che dalla pagina raggiunge in maniera diretta l'immaginazione dell'ascoltatore. Salutato dagli interminabili applausi di un pubblico accorso numeroso all'evento, il colossale titolo scivola così via senza alcuna sensazione di fatica o staticità ma lasciando, al contrario, l'animo elettrizzato dal contatto con una materia musicale resa viva e animata.