Viva Italia!
di Stefano Ceccarelli
L’Accademia Nazionale di Santa Cecilia vede – per la prima volta – salire sul podio il famoso direttore Sir John Eliot Gardiner, che porta un programma quasi tutto berlioziano: Il carnevale romano op. 9 e l’Harold en Italie di Hector Berlioz (la parte della viola è sostenuta da Antoine Tamestit) sono inframmezzati dalla Sinfonia n. 7 in re minore op. 70 di Antonín Dvořák. Il pubblico è eccitatissimo per un concerto magnifico, che testimonia ancora la grandezza di Gardiner.
ROMA, 16 marzo 2019 – Lo scorso concerto (14-16/03) tenutosi all’Auditorium Parco della Musica ha visto il debutto presso l’Accademia di Santa Cecilia di uno dei più talentuosi e blasonati direttori oggi in attività: Sir John Eliot Gardiner, universalmente noto per il repertorio barocco e classico, che in questa occasione si sposta su quello romantico e tardo-romantico. Cardine della serata, infatti, è stato Hector Berlioz, che ha aperto e chiuso il concerto, inframmezzato da una sinfonia di Antonín Dvořák.
Il primo tempo inizia, appunto, con Il carnevale romano (Ouverture op. 9) di Berlioz: si capisce immediatamente che Gardiner ha scelto un percorso monografico sulla rappresentazione musicale dell’Italia nella produzione del Francese – di cui l’Aroldo è forse l’esempio più celebre. L’ouverture, basata su temi del Benvenuto Cellini, risuona rigogliosa: Gardiner imprime un’agogica frizzante, che fa risaltare il carattere coreutico e brillante di una composizione che è un gioiello di orchestrazione (un po’ come tutto ciò che ha composto Berlioz). Gli applausi sono scroscianti fin dal primissimo pezzo, a testimoniare di come il pubblico romano apprezzi e riconosca l’arte di Gardiner. Non c’è nulla da fare: un buon direttore si riconosce immediatamente, fin dalle primissime battute di un pezzo. La perizia ritmica, l’attenzione per la mescolanza delle timbriche, per i volumi, insomma il modo in cui fa suonare un’orchestra sono elementi immediatamente rivelatori, a chi li sappia riconoscere: questo accade, semplicemente, ascoltando Gardiner, che fa suonare le maestranze accademiche in maniera straordinaria. Da un pezzo di carattere si passa a una sinfonia: la Sinfonia n. 7 in re minore, op. 70 di Dvořák. Qui Gardiner mostra com’è in grado di gestire architetture complesse, come sa ricavare un discorso organico e unitario da un’opera caratterizzata da un alone di cupezza, insolitamente, per la verità, dvořákiana, come fu già riconosciuto. Le compagini orchestrali sono terse e ben riconoscibili nell’energia tesa dell’Allegro maestoso; Gardiner, poi, dà prova della sua mano col guanto nel Poco adagio, che ha quell’ethos melanconicamente melodico che tutti noi (ri)conosciamo quando ascoltiamo Dvořák; dopo un frizzante Scherzo, esplode tutta la vitalità dell’Allegro. Direttore e orchestra vengono riempiti di applausi.
Il secondo tempo presenta il pezzo forte della serata, l’Harold en Italie di Berlioz. Gardiner cava da una partitura coloratissima le più squisite sonorità, i ritmi più precisi e azzeccati per rendere l’evocazione delle immagini italiche del poema sinfonico: la viola di Antoine Tamestit, nel ruolo della ‘voce recitante’, si staglia ben centrata, capace delle più delicate sfumature, come pure dei passaggi più sofisticati e virtuosistici, sempre attenta al carattere intimamente mimetico della melodia. Si imprimono nella memoria momenti indimenticabili: primo fra tutti il delicatissimo dialogo fra l’arpa e la viola in apertura dell’ “Aroldo fra i monti” (I). Notevolissimo il modo in cui – peraltro – Gardiner riesce a dirigere la “Marcia dei pellegrini”, dando un effetto di continuum ipnoticamente immobile, dove la viola si insinua per brevi sortite; taluni passaggi della “Serenata d’un montanaro degli Abruzzi” (III), poi, colpiscono per l’attenzione profusa nel coniugare una direzione certosina, volta alla ricerca di un ritmo cullante e delicato, alla lettura rustica e contadinesca del motivo amoroso. Dopo l’Allegro frenetico dell’ “Orgia dei briganti”, in cui tutti gli strumentisti si alzano in piedi, il pubblico tributa uno scrosciante applauso agli interpreti.
foto Musacchio Ianniello e Pasqualini