L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Nel cuore di Brahms

 di Antonino Trotta

Elegante, erudito e in definitiva spettacolare il Brahms di Marin Alsop, graditissimo ritorno al Mito Settembre Musica, alla guida dell’Orchestra del Teatro Regio di Torino in forma strepitosa.

Torino, 8 Settembre 2019 – Non si dovrebbe mai eleggere un vincitore – ammesso che sia necessario farlo – se la partita è ancora in corso ma l’appuntamento di domenica profuma di trionfo fin da subito. Sarà l’intensità dell’orchestra di casa in forma smagliante, sarà la presenza di alcuni tra i prodotti più gustosi del laboratorio mitteleuropeo o il fascino di una lettura che sembra essere in grado di cogliere ogni sfaccettatura del pensiero e della drammaturgia brahmsiana: la fregola del compositore romantico, l’eleganza dell’accademico e l’intuito del progressista, la genialità dell’architetto che riesce a edificare un ponte tra città e provincia, aristocrazia e volgo, assecondando con superba maestria l’una e l’altra influenza.

Di questo avvicinamento, di cui poi immediata conseguenza è la nascita dell’etnomusicologia, le Danza ungheresi sono forse l’emblema. Talvolta bistrattate perché all’occorrenza comodissimi brani da bis e vittime di quella foga che la ritualità da fine concerto impone, la danze no. 1, 3 e 5 tornano a suonare al Teatro Regio di Torino con una resa piuttosto desueta. Il merito è della sapiente bacchetta di Marin Alsop che, ospite per il secondo anno consecutivo del MiTo Settembre Musica – dopo l’inaugurazione della passata edizione –, intavola dalle prime battute una direzione forbita, mediando con classe tra la forza dirompente del materiale danzereccio e l’eleganza di un linguaggio erudito appartenente al grande sinfonismo. Così, mentre i tempi si dilatano per incarnare l’incedere maestoso proprio dell’ambiente di corte, si ascolta l’orchestra trascolorare, impallidire e avvampare, peregrinare in mille dinamiche e avvolgersi in mille agogiche, scandire con incredibile enfasi e mutevolezza d’accento quelle frasi, quei motivi in fondo essenziali che si rinnovano per riaffermarsi nuovi di ripresa in ripresa.

Lo scavo della partitura, l’approccio analitico ed esplorativo all’universo che si cela nella scrittura densissima tra gli estremi dei registri orchestrali, nel cuore pulsante della musica di Brahms fatta di sontuose armonie, diviene allora oggetto di studio, canale interpretativo e punto di riferimento della concertazione. Nelle variazioni su un tema di Haydn op. 56a è un continuo scoprire di tessere che nascondono caratteri, echeggiano a stili compositivi variegati e impongono un tripudio di colori sempre cangianti, oltre a essere una splendida vetrina per i complessi dell’Orchestra del Teatro Regio che, vale la pena ribadirlo, suonano magnificamente, finalizzando ogni suggerimento giunto del podio.

Dunque quale miglior investimento se non la Quarta Sinfonia in mi minore op. 98, la cattedrale della poetica brahmsiana, per mettere definitivamente a segno il goal decisivo della serata. Quattro movimenti che si susseguono senza mai sperperare l’attenzione o depauperare la loro potenza melodica, in una sinfonia che pur rischia di mutare il suo temperamento in una vanagloriosa ostentazione e quindi risultare indigesta – allorquando affidata a mani avventate –. Non è il caso della Alsop che invero adesso massimizza le qualità finora lodate e stuzzica voglioso l’interesse del pubblico per ogni dove. Che si tratti dell’arcaizzante mondo dell’Andante moderato, delle lande festose dell’Allegro giocoso o della sublime passacaglia conclusiva (Allegro energico e passionato), in cui tutti, a dire il vero, eccellono, questa sinfonia s’impone per la profondità di ogni esposizione tematica, la capacità espressiva di ciascuna elaborazione, la ricercatezza di quel lessico attraverso cui Brahms definisce il suo essere.

Serata memorabile. Null’altro da aggiungere.


 

 

 
 
 

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