A Verona, Orfeo, beniamino d'Europa
di Irina Sorokina
Un galà rossiniano percorre il repertorio serio con l'ultimo capolavoro italiano, Semiramide, e l'addio definitivo alle scene, Guillaume Tell, e il buffo con l'opera più celebre, Il barbiere di Siviglia, e le tinte malinconiche e fiabesche della Cenerentola. Jader Bignamini dirige un cast di prima qualità, dal soprano Lisette Oropesa al baritono Alessandro Corbelli.
VERONA, 14 agosto 2020 - Sono stati un giro breve in piazza Bra e l’atmosfera speciale dell’attesa di entrare in Arena a dettare il titolo dell’articolo. Il celebre compositore italiano Gioachino Rossini e sommo poeta russo Aleksandr Puškin furono pressappoco coetanei, ebbero solo sette anni di differenza: il primo nacque nel 1792, il secondo nel 1799. E ieri, mentre la sera blu, scendendo, si impadroniva della città di Verona, avvolgendo il suo monumento più importante, i versi di Puškin riguardo la musica del Cigno di Pesaro sono venuti in mente in modo spontaneo. Diamo la loro traduzione alla lettera:
Scende già la sera blu,/ E’ il tempo di andare all’opera,
Là un Rossini inebriante,/ Orfeo, beniamino d’Europa,
Senza ascoltare le critiche severe,/ E’ sempre lo stesso e sempre nuovo,
Emette dei suoni che bollono, scorrono, ardono/ Come i giovani baci,
Tutto è avvolto dalla dolcezza, fiamma d’amore,/ Come il flusso e gli schizzi dorati dello champagne sibilante.
Anche se Odessa, una bellissima città sul Mar Nero dove Puškin sentì la musica rossiniana, è lontana da Verona e la passione del grande poeta per l’opera del Cigno di Pesaro è ben diversa da quella dei melomani d’oggi, i versi, in Russia celeberrimi, hanno descritto perfettamente l’atmosfera che ha preceduto il Gala Rossini dentro le antiche mura dell’anfiteatro veronese. Una serata che prometteva bene, vista la partecipazione della stella del momento, il soprano americano Lisette Oropesa, del tenore sudafricano Levy Sekgapane, e degli italiani Marina Viotti, Mario Cassi, Alessandro Corbelli, Roberto Tagliavini. Sul podio Jader Bignamini alla guida dell’orchestra areniana.
Il programma, molto nutrito, è stato saggiamente strutturato; all’ascoltatore sono stati offerti in quattro “blocchi”, se così si può dire, tre brani da Semiramide, ben cinque dal bestseller rossiniano, Il barbiere di Siviglia, tre da La Cenerentola e altrettanti da Guglielmo Tell (in italiano). Nulla da dire, una sequenza di brani molto soddisfacente che si è rivelata vincente.
La sinfonia di Semiramide ci è sembrata un pezzo giusto per aprire la serata; Jader Bignamini ha “domato” facilmente un brano lungo e dai moltissimi colori. Dopo il rullio iniziale e colpi dal carattere imperioso, i corni e poi gli oboi hanno intonato il primo tema con grazia e tepore, a loro sono subentrati i violini con il secondo tema suonato con la dovuta grinta. Bignamini è riuscito a gestire con passione, ma anche con una giusta misura i caratteristici crescendo rossiniani; mai un punto morto per tutta la durata della sinfonia, più dieci minuti di musica, un’apertura molto apprezzabile di un programma impegnativo.
Lisette Oropesa, che facilmente stupisce il pubblico, ha attraversato la passerella con andatura calma e elegante, eppure nelle sue movenze si percepiva quella femminilità che la induce a rispondere alla musica con tutto il corpo; un “marchio” molto affascinante della cantante nata in Lousiana, terra di jazz. Dalle prime note di “Bel raggio lusinghier” si è capito che sarebbe stato un successo: il soprano americano ha sfoggiato voce di un’autentica qualità, calda, morbida, omogenea e ricca di sfumature. Un altro suo grande pregio è stata naturalezza; sembra che nulla le crei dei problemi, possiede una formidabile padronanza di stile, precisione musicale, buona pronuncia, tecnica di coloratura strabiliante, acuto facile. Ieri sera sul nuovo palcoscenico rosso dell’Arena ha brillato una stella, e, fossimo stati in Russia, avremmo detto “canta come un uccellino celeste”.
Di Levy Sekgapane si direbbe “nato per interpretare la musica di Rossini”; è uno di quei tenori puliti, dal timbro chiaro e carezzevole che a volte si potrebbe definire “tenorino“. Ha esordito con “La speranza più soave”, eseguita non male, ma come se la voce non fosse riuscita a venir fuori del tutto. Anche le colorature non sono state non male, come l’acuto che, però, è risultato leggermente “belante”. L’inizio della performance è stato promettente, ma mancante della dovuta caratura.
Un pezzo che non può mancare in un gala rossiniano, “La calunnia è un venticello”, è stato affidato alla voce nobile e profonda di Roberto Tagliavini. Una voce che copre senza fatica lo spazio areniano. Ha disegnato un Don Basilio piuttosto bonario, privo della perfidia a cui siamo abituati. Ha gestito bene il celebre crescendo, tuttavia la sua interpretazione ci è sembrata eccessivamente tranquilla e generica; avremmo aspettato il fraseggio più dettagliato nel “meschino calunniato”. Un successo per questa “Calunnia” un po’ troppo posata.
Per la gioia del pubblico, Lisette Oropesa è tornata sul palco con “Una voce poco fa” nella versione per soprano. Rosina è, senza dubbio, è uno dei ruoli più consoni al soprano americano; è riuscita perfettamente a dosare i colori e sfumature. La pupilla di Don Bartolo “all’Oropesa” è stata decisamente alla mano, ma pienamente consapevole del potere della propria femminilità, “buonina” e dolcissima, ma ferma e seducente. Ha sfoggiato il sol diesis più bello e facile che abbiamo mai sentito sulla parola “Lindor” e giocato gentilmente col direttore d’orchestra, senza parlare delle variazioni virtuosistiche in “Io sono docile”. Un vero successone.
“Largo al factotum della città” è stata una scelta azzeccata per il baritono Mario Cassi che ha trovato nella febbrile cavatina rossiniana lo specchio della sua indole; vivace, irruente, ironico e simpaticamente un po’ “gigione”. E’ calato nei panni del super barbiere già percorrendo la passerella con la voglia evidente di coinvolgere il pubblico al massimo. Ha deliziato l’orecchio con voce salda e ben tornita, una dizione nitida e musicalità evidente; impeccabile la vertiginosa parte finale. E’ stato perdonato facilmente per l’acuto un po’ “sparato”.
La giovane stella sudafricana, Levy Sekgapane è tornato con il perfido brano “Cessa di più resistere” segnato da un inizio molto buono. Se “La speranza più soave” non ha pienamente convinto, l’aria tenorile da Il Barbiere di Siviglia ha sciolto i dubbi. E’ stato un canto accurato, controllato, stilisticamente impeccabile, segnato da uno squillo buono e agilità sicure. Rimane qualche passaggio dal carattere “belante” e un’eccessiva prudenza; a volte questo Almaviva sembrava camminare sulle uova. Se il giovane tenore riuscirà a salire su un altro gradino di grinta, avremo un tenore rossiniano eccellente e interprete raffinatissimo. Un successone anche per lui.
Degna conclusione della prima parte non dichiarata di questa parata vocale, il finale del primo atto del Barbiere ha deliziato non poco l’orecchio e divertito molto. Lodiamo con un grande soddisfazione la complicità nata tra tutti gli interpreti (a già citati Oropesa, Sekgapane, Tagliavini e Cassi si sono aggiunti Marina Viotti e Alessandro Corbelli), che hanno cantato con una grande voglia di recitare e scherzare, trovato le dinamiche giuste e sfoggiato colori raffinati, molto diversi nelle varie parti del concertato; particolarmente riuscito è stato “Mi par d’essere con la testa” dove l’ironico spirito della musica del Pesarese è stato colto perfettamente.
Alessandro Corbelli, che negli anni abbiamo ascoltato tante volte nel repertorio rossiniano, ha esordito con “Miei rampolli femminini”, un brano perfetto per la sua personalità e vocalità. Il suo canto, attualmente frutto anche di un’enorme esperienza, è risultato scultoreo, nonostante un leggero affievolimento della voce.
Marina Viotti si è fatta apprezzare subito nel concertato del Barbiere, ma nell’autentico pzzo forte “Nacqui all’affanno, al pianto” ha sorpreso e fatto innamorare tanti cuori. In armonia col soprano, ha rivelato un grande dono di naturalezza, ha iniziato con una grande calma e la sua interpretazione è andata in crescendo. Una voce salda, ampia, brunita, ma mai appesantita, facile nell'ascesa verso l’acuto, naturale nell’agilità, e poi, una grande sensibilità musicale. Mai un passo falso, è stata la Cenerentola perfetta, anche per la femminilità affascinante e il cuore grande. Un altro successone con grandissimi applausi.
Dopo questa grande commuovente interpretazione, i due baritoni, maestri della comicità, si sono calati con piacere nei panni di Dandini e Don Magnifico; il duetto “un segreto d’importanza” è stato un gradevole intermezzo leggero prima del blocco finale del programma composto dei brani di Guglielmo Tell. A Mario Cassi il ruolo del cameriere calza a pennello; si è divertito molto nello scandire “Son Dandini cameriere” suscitando sorrisi di piacere del pubblico. Dotato di comicità innata, ha disegnato un Dandini bonario e ironico e brillato per l’accento perfetto e la dizione fantastica. Alessandro Corbelli è stato volentieri al gioco, il suo Don Magnifico è risultato magistrale; nel finale dinamico e divertente del brano, la nota “sparata” si è perdonata facilmente.
C’è sempre una nota dolente quando si tratta di Guglielmo Tell, in assoluto tra le più belle opere del mondo, molto lunga e impegnativa, amata da tantissime persone condannate a soffrire per l’impossibilità di “beccarla” in teatro. Abbiamo provato una gioia incontenibile vedendo alcuni brani del capolavoro assoluto rossiniano inseriti nel gala areniano.
Si è partito dalla celebre ouverture, come poteva mancare? Un bravissimo Jader Bignamini l’ha diretta con mano ferma e spirito molto energico; ha colto tutte le varie dinamiche e raggiunto sonorità davvero ricche nel colore dolce e penetrante dei violoncelli all’inizio e nele tinte trasparenti nel bucolico tema in 6/8; ha attaccato il tempo vertiginoso e colorato con una leggera ironia il celebre galop. Per lui e l’orchestra non un successo, ma un autentico successone, pienamente meritato. Aggiungiamo altre parole di lode per Bignamini, che non soffre un certo narcisismo sul podio; pur avendo una personalità spiccata, ama le voci ed è sempre attento alle esigenze dei cantanti. Parole di lode anche per il coro areniano preparato da Vito Lombardi, da sempre uno dei protagonisti dei grandi eventi areniani.
Dopo la Sinfonia, ci aspettavano ancora due brani da Guglielmo Tell. Dopo un successo ottenuto nel Rossini comico, Alessandro Corbelli ci è cimentato col Pesarese serio; il baritono torinese ha intonato “Resta immobile” sfoggiando voce dal colore chiaro e confermato l’altissima qualità della sua arte d’interprete. Il tempo non ha alcun potere su questo bravissimo artista; la sua cavata espressiva è riuscita a commuovere il pubblico; un affaticamento leggero si è percepito solamente in “Pensa a tua madre”. Una bella trovata: finita l’aria, Corbelli si è unito al resto del cast, pronto per la grande conclusione della serata.
Ci voleva qualcosa di sublime e il concertato “Tutto cangia, il ciel si abbella” del quarto atto di Guglielmo Tell è stato un super finale, per lo spirito di grandezza, sonorità ampie, armonia totale tra le voci e orchestra. Ovviamente, il pubblico commosso e divertito non avrebbe lasciato andare i cantanti senza un paio di bis, e così è stato. Hanno intonato la celeberrima Preghiera (“Dal tuo stellato soglio”) da Mosè in Egitto, un brano perfetto per un bis segnato anch’esso dall’armonia tra le voci; Roberto Tagliavini non in possesso di una vocecarattere profetico, ha puntato, giustamente, alla morbidezza e espressività.
Quella sera in Arena abbiamo ascoltato la musica del Pesarese, comica, seducente, drammatica. A conclusione del gala che sicuramente rimarrà scolpito nella memoria del pubblico areniano e dei numerosi amanti della musica del Cigno, abbiamo visto un breve e gradevole spettacolo pirotecnico. Rossini comico, seducente, drammatico e pirotecnico. Ci sta.