Andremo a Parigi?*
di Roberta Pedrotti
Jessica Pratt e Alessandro Bonato offrono un affascinante viaggio da Rossini a Donizetti e Verdi attraverso atmosfere parigine. Il risultato è un concerto in cui l'abbagliante virtuosismo si unisce a un valore artistico concreto e mai scontato, appagando la piazza ma anche lo spirito del Rof e dei suoi frequentatori di lunga data.
PESARO, 14 agosto 2020 - Dopo Olga Peretyatko, un'altra primadonna di casa a Pesaro per il ciclo di concerti in piazza del Popolo che animano questo ardimentoso Rof, fiero del suo valore come del rigore delle norme di sicurezza (come ha giustamente ribadito il sindaco Ricci puntando il dito contro chi, sul lungomare, del buonsenso e delle direttive se n'è infischiato).
E dopo essere salito sul podio per il tour de force da Mozart a Cilea con Nicola Alaimo, torna anche Alessandro Bonato per un programma questa volta concentrato intorno a una precisa direttrice, parigina e belcantista. Fatta salva la grande aria di Amenaide dal secondo atto di Tancredi, infatti, sentiamo Jessica Pratt cantare quasi esclusivamente in francese, e quando non lo fa, si tratta comunque o di opere scritte per la capitale transalpina ("Quel guardo il cavaliere" da Don Pasquale) o nella stessa ambientate ("E' strano... Ah, fors'è lui... Sempre libera" dalla Traviata). In un rapido crescendo, la voce si ambienta nello spazio aperto, il nostro udito si riabitua all'acustica e all'amplificazione - sì, il lavoro è ben fatto, ma comunque è inevitabile che tutto lo spettro dinamico risulti impoverito rispetto all'ascolto naturale in teatro. La cavatina di Adèle dal Comte Ory, la preghiera e la trionfante cabaletta di Amenaide son già biglietti da visita di chiarezza d'articolazione, smalto, studiata, maliziosa, malinconia, accorato raccoglimento e luminosa esultanza. È, però, con Pamyra e il suo "Ô Patrie infortunée!" che l'animo si infiamma ed entusiasma. Diamo a Cesare quel ch'è di cesare: non si finirà mai di ringraziare Damien Colas per aver compiuto un lavoro che si credeva impossibile e restituito con la sua edizione critica di Le siège de Corinthe musica meravigliosa, di tale e tanto respiro teatrale. Fino a qualche anno fa si credeva che il secondo atto si aprisse con un'aria bipartita - il cantabile "Du séjour de la lumière" e la cabaletta "Mais après un long orage", rispettivamente da "Madre a te, che dall'empireo" ed "E d'un trono alla speranza" di Maometto II - mentre ora sappiamo che l'aria della protagonista aveva ben altre proporzioni e prevedeva una maestosa prima sezione, appunto "Ô Patrie infortunée!", ripresa dal vertiginoso "Sì ferite!" di Anna Erisso nel finale di Maometto II. Jessica Pratt rende splendidamente giustizia a questa scrittura siderale, alla sua articolazione più minuta, per cui l'espressione non è solo fiorita, decorata dal virtuosismo, ma arricchita e potenziata con quella fiera nobiltà dell'espressione che fa di Pamyra un'eroina e un simbolo anche politico. Ben diverso, insomma, dai languori più o meno dissimulati di Adèle, dai palpiti di Amenaide, e poi dalla malizia di Norina, che in "Quel guardo il cavaliere" Jessica Pratt rende con spontanea freschezza, o dalla malinconia di Marie nella Fille du régiment, pronta a esplodere in un pirotecnico "Salut à la France", una vera apoteosi di variazioni e sovracuti quasi sfacciati, ma tanto gioiosi da evitare ogni esibizionismo fine a se stesso. Da lì alla Traviata il passo è meno ardito di quanto sembri. Siamo passati dalla grande tragedia ideale ai drammi privati e quel lato larmoyante borghese è, in fondo, quello da cui sorge il linguaggio verdiano, la purezza perduta e accarezzata con sognante nostalgia da Violetta è quella di Marie, la seduzione giocosa di Norina (ricordiamo che Don Pasquale, come Germont, non la vorrebbe in famiglia, seppur per ragioni economiche, e che Ernesto si affretta a precisare che è "onorata e virtuosa") diventa la professione pericolosa della Signora delle camelie. Certo, ogni volta che si ascolta "È strano" facendo ben attenzione a quel che si dice e si canta non si può non trasalire al pensiero della storia che Verdi e Piave stanno portando sulle scene senza filtri di mentite virtù. Questo passaggio Jessica Pratt lo rende assai bene, mantenendo forte il legame con il linguaggio del Belcanto, variando l'accento nella cabaletta con fantasmi di nevrosi e follia.
Alessandro Bonato, sul podio della Filarmonica Rossini, conferma le ottime impressioni destate nella serata con Nicola Alaimo. Prese le misure con lo spazio, l'orchestra, l'acustica, calibra le dinamiche puntando su un lavoro accurato sulla metrica, sull'architettura interna dei brani. Dopo l'agile slancio della sinfonia del Signor Bruschino e l'elegante fraseggio di quella di Tancredi, nobile, sfumata ed eroica al punto giusto, offre una lettura davvero intrigante e personale dell'ouverture del Siège de Corinthe. Basti pensare a come dipana le voci nella marcia funebre "greca" (in realtà un tema d'antiche origini ebraiche) per dare la misura della concertazione. Tutte le linee melodiche, tutti i timbri, i rapporti ritmici e armonici sono esposti e sviluppati con trasparente chiarezza senza perdere una prospettiva unitaria arricchita e non gravata da tanti dettagli. Davvero una lettura maiuscola, da ricordare. Le due sinfonie donizettiane, con l'adorabile valzer e il crescendo effervescente di Don Pasquale, gli ammiccamenti tirolesi e l'esuberanza militare della Fille du régiment, così come la sintonia con il canto di Jessica Pratt (e che bello il crescendo di tensione nell'aria di Amenaide, per esempio!), confermano la qualità della giovanissima bacchetta.
Infine, fra gli applausi scroscianti, arriva uno dei bis favoriti di Jessica Pratt, che Bonato abbraccia con slancio: "O luce di quest'anima" da Linda di Chamounix, opera composta per Vienna, aria inserita per Parigi, coerente, quindi, con il percorso generale della serata. Ancora una volta un fiorire di acuti e sovracuti cesellati fra trilli, variazioni, in un gioioso zampillare di prodigi vocali. E anche stasera festeggiamo il miracolo dell'arte, dimentichiamo per un attimo i confini in cui siamo stretti; i dolori passati e presenti, anzi, ci fanno godere ancor più di qualcosa che non è pura decorazione, ma essenza di vita.
* Andremo a Parigi? è il titolo di una rielaborazione del Viaggio a Reims, basata su materiali diffusi clandestinamente dopo la prima assoluta, data nella capitale francese nel 1848, con significato rivoluzionario opposto a quello originale.
foto Amati Bacciardi