La luce in fondo al tunnel
di Roberta Pedrotti
Kirill Petrenko dirige un concerto straordinario con l'orchestra di Santa Cecilia e Igor Levit solista. Di fronte a tale prova musicale altissima sorge d'obbligo anche una riflessione sul ruolo, le potenzialità e le criticità della Rai, che ne ha programmato la diretta radio e web oltre alla differita su Rai2.
Rai, da Roma, 23 dicembre 2020 - Magari, invece di fantasticare sulla "Netflix della cultura" (e sui fondi da sottrarre al Fus per alimentarla...), i vertici del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo potrebbero ragionare su quel che già c'è: la Rai, con la sua storia, i suoi mezzi, e un comparto, Rai Cultura, in grado di offrire altissima qualità. Un punto di partenza che aspetta solo un'equa ripartizione dei fondi, delle risorse tecniche (perché mai i canali adibiti alla diffusione della musica di qualità, come Radio3 e Rai5, devono fare i conti con una qualità della compressione del suono nelle trasmissioni inferiore a quella delle reti ammiraglie e dei corrispettivi esteri, del tutto inadeguata?), della burocrazia, che spesso affossa anche le migliori intenzioni. Un esempio lo abbiamo sotto gli occhi nella collaborazione, tramite Enel Energia, con l'Accademia Nazionale di Santa Cecilia per il Concerto di Natale diretto da Kirill Petrenko con Igor Levit pianista solista. In programma Weber, Prokof'ev e Schubert, diretta Radio3 e, in video, sulla piattaforma Raiplay (dove la qualità del suono risulta impietosamente migliore), differita annunciata per il 29 dicembre su Rai2. Petrenko, Levit, Santa Cecilia su Rai2, prima dei Fatti vostri di Magalli: quest'idea di continuità quotidiana nel palinsesto, senza nicchie d'élite, sembra un sogno a occhi aperti. Peccato che, però, l'operazione non sia gestita da chi se ne intende (il comparto RaiCultura), ma passi per altri rivoli aziendali per cui non esce altro comunicato stampa di quello dell'Accademia di Santa Cecilia (Roma, concerto di Natale di Santa Cecilia in radio, web e tv dal 23 dicembre), mentre consultando il palinsesto di Rai2 sui siti istituzionali di Petrenko non ci sia traccia... Magari, invece di fantasticare sulla "Netflix della cultura", si potrebbe fare in modo che quello che di buono già c'è in Rai (che è molto!) venga messo in luce e arrivi al pubblico senza una kafkiana corsa a ostacoli.
Se Rai2 spreca l'opportunità, si spera non la sprechi il pubblico ricorrendo anche a Raiplay (basta aprire questo link) per non perdersi questi ottantasei minuti di Olimpo musicale. Che l'orchestra sia in Italia al massimo livello e una delle pochissime compagini sinfoniche di respiro internazionale è cosa nota, ma con un direttore del calibro di Kirill Petrenko a maggior ragione spiegano le ali al di sopra delle vette. L'atmosfera si scalda subito con l'ouverture da Oberon di Carl Maria von Weber, la cui strumentazione si valorizza senza una sottolineatura di troppo, solo nella qualità del suono, dell'impasto, del dettaglio timbrico iscritto in una gioiosa progressione dinamica. Ecco, con tocco da maestro, dipinta la civiltà musicale (e segnatamente operistica) tedesca dopo Mozart, la personalità di un compositore pressappoco coevo di Beethoven (Weber nacque quando Beethoven era adolescente, ma morì poco prima di lui), un mondo che non è meramente protowagneriano, ma in cui Wagner si forma e a cui non può non guardare. Poi, fa la sua apparizione la terza stella in cartellone: Igor Levit sfogga subito un virtuosismo abbacinante nel primo Concerto per pianoforte e orchestra di Prokof'ev. La velocità e il nitore, la brillantezza assertiva sembrano portare alle estreme conseguenze una meccanicità che in realtà è solo una delle molteplici facce poetiche del concerto, come danno perfettamente a intendere Levit e Petrenko con pirotecnia straniante, ironica, tratti percussivi che quasi trascendono lo strumento in un fraseggio graffiante che poi si scioglie e trascolora in un lirismo in cui riaffiorano reminiscenze di Debussy o del tardo romanticismo e dell'impressionismo russo. E dopo il capolavoro giovanile di Prokof'ev, ecco che torniamo un secolo indietro a un altro capolavoro estremo di un compositore austrotedesco morto troppo giovane: dopo l'Oberon (1826) di Weber (1786-1826), la Nona sinfonia La grande (1825) di Schubert (1797-1828). Qui Petrenko respira esattamente con nobile semplicità e quieta grandezza, sicché la sinfonia non implode sotto il suo peso e l'esecuzione integrale esprime il suo naturale equilibrio nel passo agile di tempi vispi, vibranti e pure capaci di magniloquenza. Se sul Montasalvat il tempo si farà spazio, qui il suono, in quanto timbro - tagliente o levigato - e in quanto tema - amabile, melanconico o solenne -, a farsi tempo, con un'articolazione dinamica e agogica continua, seppur logica, consequenziale, controllata, fino a un epilogo capace di trionfare proprio in una lucida, ragionevole misura che sa quasi di raccolta cesura, di pacata sintesi dopo tale dispiegamento del pensiero, tale giostra sapiente e naturalissima di tensioni. Tanto nobile e semplice, tanto grande da lasciare ammutoliti nell'ammirazione.
Chi ha vissuto la Nona di Beethoven diretta da Petrenko a Santa Cecilia nella primavera del 2019 la ricorda come un'epifania [leggi la recensione Roma, concerto Petrenko, 06/04/2019]. Ora la Nona di Schubert è confinata dietro uno schermo (sebbene la regia video non sia delle migliori, si consiglia la visione, ché la ripresa radiofonica è disponibile sul sito raiplay/radio in qualità inferiore) ma a disposizione di tutti. Poiché, però, Petrenko ha salutato l'orchestra con un promettente "ci vediamo l'anno prossimo" confidiamo che la luce accesa dai vaccini ci porti in fondo al tunnel nuove meraviglie romane con il direttore musicale dei Berliner.