La notte e i Lumi
di Suzanne Daumann
Al Gärtnerplatztheater di Monaco di Baviera, Die Zauberflöte, in un allestimento felicemente rivisitato per le attuali esigenze di distanziamento, rinnova la metafora sempre attuale dell'istinto e della ragione, della notte e dei Lumi.
MONACO di BAVIERA, 13 settembre 2020 - In questo cupo periodo, il messaggio della Zauberflöte ritrova un'attualità quasi spaventosa. È un'opera dalle molteplici sfaccettature, una fiaba delle connotazioni massoniche che si può interpretare secondo Freud o secondo Marx, e e che attira spesso le ire delle femministe, non a torto; un'opera musicalmente ricca, un'opera che si tende a "consumare" come un divertissement, questa Zauberflöte oggi ci prende alla gola e ci prova che, più che mai, la luce della musica è una necessità asssoluta.
Forse è proprio per questa ragione che il Gärtnerplatztheater apre la sua stagione 2020/2021 con due recite della sua rappresentazione del 2010, firmata Rosamund Gilmore per la regia, Friedrich Oberle per le scene e Nicola Reichert per i costumi. Recite riadattate, è sottinteso: Andreas N. Tarkmann ha ridotto l'orchestra a parti reali, cosa che offre un suono in filigrana, trasparente, fa emergere certe linee melodiche normalmente nascoste nell'ensemble, un suo cui ci si abitua rapidamente e ha il vantaggio di non coprire mai il canto. Bisogna rendere merito a Michael Brandstätter e a all'orchestra dello Staatstheater am Gärtnerplatz che lavorano con una concentrazione intensa, che colmano lo scarto fra musica da camera e orchestra d'opera senza che ci si senta privati di qualcosa stasera. Bravi.
La scena minimalista consiste in un grande schermo dove sono proiettati di volta in volta un cielo notturno, dei rami nudi... E ciò basta, perché ci sono costumi favolosi e l'azione e le voci degli interpreti, senza dimenticare i danzatori del corpo di ballo del teatro. Popolano la scena fin dall'ouverture, e talora in seguito, di animali selvatici. Un gorilla, una iena, un facocero, una pantera e un trampoliere elegantissimo con le sue zampe sono caratterizzati da maschere e costumi in stile rococò in blu scuro, danzando minuetti raffinati e ironici. Eleganza rococò blu scuro anche per le tre dame, cantate con molta finezza da Mária Celeng, Anna-Katharina Tonauer e Anna Agathonos, tre belle voci che si combinano in armonia. La felssibilità e il calore della voce del tenore Gyula Rab non si dispiega ancora del tutto nell'aria del ritratto; è più tardi, soprattutto nel secondo atto quando ritrova Pamina — «Tamino mein…», «Pamina mein…», quei due versi in cui Mozart sa esprimere più di altri in duetti di dieci minuti — che si arriva ad apprezzarlo appieno. Elegante e principesco in un completo bianco, una specie di rococò depurato che evoca già gli abiti sobri dell'epoca dei Lumi, commuovente e fiero, è un Tamino con tutte le carte in regola. Judith Spießer nei panni di Pamina è il suo perfetto corrispettivo. Voce di soprano accattivante e chiara, accattivante anche per la presenza scenica, è semplicemente perfetta. Proprio come i suoi costumi: se porta all'inizio un abito giallo con grembiule blu, ricordando la Biancaneve di Disney, più tardi la vediamo in un abito bianco stile Reggenza. Questi costumi, l'abbiamo capito, esprimono giustamente l'antagonismo fra l'affermazione dell'Illuminismo e l'ancien régime con le sue tradizioni e superstizioni. Ultimo esempio, Sarastro, in frac da scienziato del XIX secolo, o in una grande veste gialla a pieghe e con ampie maniche - un abito-sole, un costume-luce. Il giovane basso Sava Vemić è colui che gli dona voce e vita ed è assai impressionante. Dotato di una vocalità profonda e limpida, nonché di una presenza scenica forte e pacata, incarna alla perfezione il saggio sacerdote, figura paterna e tutelare. Nella sua aria «In diesen heil’gen Hallen» si pende dalle sue labbra, sperando che dica il vero annunciando un mondo senza vendetta, in cui l'amore porti il colpevole al dovere, pur domandandosi che ne è di Monostatos, appena bandito... Due pesi e due misure anche qui? O invece semplicemente l'inconsistenza dell'umano, imperfetto anche se nelle sembianze di grande saggio? - O magari Schikaneder non sarebbe andato fino in fondo? A proposito di Monostatos: qui, non è nero, è schiavo e quindi detestabile (hässlich in tedesco viene da Hass, odioe). Qui, si è potuto rimediare un po' alle accuse diverse di cui Die Zauberflöte è stata oggetto da tempo. È molto più difficile per quel che concerne le varie frasi misogine di cui è infarcito il testo - almeno Pamina compie un gesto ribelle e getta il grembiule ai piedi di Sarastro quando questi la tratta senz'altro come un oggetto. Queste considerazioni sono senza importanza, tuttavia, di fronte al messaggio principale dell'opera: la ragione deve sempre guidare le nostre scelte, non bisogna lasciarsi sedurre da soluzioni semplificate. Oggi, si può collegare facilmente la Regina della notte e i complottisti d'ogni sorta - lei è avida di rivalsa, incapace di discernere, guidata dalle emozioni, anche a costo di fare della figlia un'assassina per raggiungere i suoi scopi. La interpreta con tutta l'isteria maestosa che si conviene Aleksandra Jovanovic. Di nuovo, un costume rococo, parrucca esagerata, rappresenta proprio la notte che sarà scacciata dai Lumi. Altri personaggi rococò ma ben più simpatici, i tre fanciulli. In culotte, frac, jabot, tutti in beige, ricordano nel nostro immaginario Mozart bambino. Sono cantati da un ragazzo e due ragazze, Zeno Böhmler, Amelie Spielmann e Anna Fiona Metzger. Semplicemente adorabili sulla scena, danzano, si muovono e cantano con agio, veri piccoli cavalieri. Adorabile del pari l'altro personaggio guidato dall'istinto più che dalla ragione: il Papageno di Daniel Gutmann. Leggero, disinvolto, cade e si rialza come una palla di caucciù, la sua voce lirica e agile infonde ai versi tutte le emozioni del personaggio. Adorabile anche Julia Sturzlbaum quale Papagena.
Poiché questa produzione è molto legata alla musica e coreografata, con ogni movimento scenico legato alla partitura, per questa ripresa in tempo di Covid baci, abbracci, contatti d'ogni genere sono stati rimpiazzati da danze. Funziona molto bene, dopotutto, e poi la danza è sempre stata usata come metafora sessuale. Un altro punto sensibile di quest'opera risiede nelle parti parlate, perfettamente amministrate qui. Suonano naturali per tutta la rappresentazione, e bisogna congratularsi con i membri del cast non madrelingua per la dizione e la pronuncia impeccabili.
Una serata all'opera riuscita, insomma, malgrado le restrizioni del momento, ricca di riflessioni e materia su cui pensare, piena di colori e gioia musicale.
Bravi tutti, e grazie di cuore.