Rusalka all'asciutto
di Fernando Peregrín Gutiérrez
Rinuncia all'aspetto fiabesco la nuova coproduzione internazionale di Rusalka con la regia di Christof Loy che ha debuttato al Teatro Real di Madrid. Di ottimo livello il cast con Asmik Grigorian protagonista.
Madrid, 16 novembre 2020 - Ben nota è la predilezione del direttore artistico del Teatro Real Joan Matabosch per i registi come Robert Carsen, Damiano Michieletto, Calixto Bieito, Romeo Castellucci, Willy Decker, David Poutney o Christof Loy. Il comune denominatore è aggiornato e duro realismo, talvolta carico di crudeltà: l'interpretazione generalmente libera in chiave simbolica, concettuale e metaforica della drammaturgia. Ma nel caso della produzione di Christof Loy di Rusalka che è oggetto di questa recensione, si osserva che ci sono molti direttori artistici di rinomati teatri che condividono lo stesso punto di vista, dal momento che ci troviamo di fronte a un coproduzione del teatro di Madrid con la Semperoper di Dresda, il Teatro Comunale di Bologna, il Gran Teatro del Liceu di Barcellona e il Palau de les Arts Reina Sofía di Valencia.
La prima cosa che colpisce è l'apparizione sul palco di Rusalka come ballerina con gamba ingossata e con le stampelle, distesa su un brutto e povero letto tipico di un ospizio, al centro di un volgare salotto in stile neoclassico secondo il gusto della benestante classe media di una città di provincia. Mostrandola fin dall'inizio come umana e non come una ninfa di lago che vuole essere donna perché è innamorata di un essere umano, un príncipe, l'opera perde il suo significato. Il realismo low cost della scena unica, con rocce scure di lava solidificata che ricoprono in parte alcuni gradini senza la minima funzione scenografica, è del tutto inadeguato a soppiantare le sponde frondose di un lago in mezzo un bosco di fiaba in cui giocano le naiadi tra ninfee e vegetazione. L'azione sembra svolgersi in una notte di eclissi lunare totale. Loy deve soffrire paura della luna, come aveva già accennato nella sua messa in scena di Capriccio proprio su questo palcoscenico madrileno. Molto controindicato, poiché la luna è spesso presente nel libretto e il momento più noto di Rusalka è proprio il suo Canto alla Luna. Un altro elemento mancante è l'acqua. Il personaggio di Vodnik è "Il signore o Spirito delle delle acque", ma si trova in un ambiente arido e asciutto. Per questo ridurre tutta l'esuberante flora acquatica tipica dei bordi di un lago ricco di fantasie e miti, soprattutto le ninfee che si specchiano nelle acque, a un magro bouquet di fiori rossi che qualcuno sparge a terra accanto a Rusalka è incomprensibile e senza senso. Ma la cosa peggiore è la totale mancanza di separazione tra interni ed esterni, tra il mondo di pavimenti e di pareti artificiali, asciutti, lisci e levigati degli umani e quello acquatico, ondulato, floreale e lacustre di Vodnik (Signore o Spirito del acque, lo ripeto). Tutto il significato etereo e poetico e la magia della favola scompaiono inghiottiti da un aggiornato realismo, privo di ogni simbolismo, metafora e fascino.
Dalla compagnia di canto, il soprano lituano Asmik Grigorian si è distinto come ottima Rusalka, con una voce lirica piena e omogenea, emessa con grande tecnica, anche se con un timbro un po' freddo per il trasporto onirico del famosissimo Inno alla Luna. Si è mostrata una grande attrice, anche se sembrava più interpretare una tragica eroina del cinema neorealista italiano che una ninfa della mitologia slava.
Bene in generale e con coraggio e dedizione - ha dovuto cantare con le stampelle a causa di un'operazione alla caviglia cui si è sottoposto nel mezzo delle prove - il tenore Eric Cutler (Il principe), sebbene la sua voce non sia particolarmente bella e la sua tecnica di canto non delle migliori.
Il resto del cast era di ottimo livello. Peccato che presentandola per il regista come una volgare impiegata di biglietteria di un cinema di quartiere - il botteghino era chiaramente incastonato nella parete sinistra della stanza - il mezzosoprano Katarina Dalayman, nonostante il suo bel canto, non fosse pienamente convincente come Jezibaba, la maga. Il basso russo Maxim Kuzmin-Karavaev, Vodnik, mancava di facilità e qualità nel registro acuto e compostezza e nobiltà nella sua linea di canto. Resta inteso che se il regista lo fa vagare per la scena vestito con lo smoking e con gesti tipici di un caratterista è difficile dare l'immagine di uno spirito che regna nelle profondità delle acque del lago. Grande presenza scenica dell'esperta Karita Mattila (Principessa straniera, personaggio che Loy ha reso caricaturale), che nonostante alcuni momenti di difficoltà ha lasciato il ricordo dei suoi anni migliori.
Uno dei momenti migliori della recita è stato il trio finale di ninfe, in cui spiccava il soprano armeno Julietta Alelsayan (gli altri due erano Rachel Kelly e Alyona Abramova), formata presso il rinomato conservatorio di musica Komitas di Yerevan.
Energica e molto precisa la direzione del coro e dell'orchestra di Ivor Bolton. I tempi erano vivi e i fiati e gli ottoni suonavano abbastanza bene. Forse troppo forte in molti momenti, perché coprivano gli archi - soprattutto i violoncelli - che non avevano il suono ceco, tanto difficile da spiegare quanto facile da riconoscere, che Dvorak aveva in mente quando componeva quest'opera.