La pazienza del ragno
di Giuseppe Guggino
Magnifico inizio di temporada 2015/2016 del Teatro Real di Madrid alla presenza dei Reali di Spagna con un Roberto Devereux allestito con massima cura nel quale, sotto il lusso di due bacchette encomiabili, a una prima compagnia stellare guidata dall’ammirevole tenacia di Mariella Devia fa da degnissimo contraltare un secondo cast di assoluto rilievo; coraggiosa è la scelta dell’allestimento, proveniente dalla Welsh National Opera di Cardiff, che forse soddisfa meno il pubblico rispetto alla parte musicale ma che non risulta privo di spunti convincenti.
Madrid, 24 e 25 settembre 2015 - Un filo rosso pare legare tutte le componenti di questa felicissima inaugurazione di stagione del Teatro Real di Madrid, ed è la presenza di un ragno che campeggia già nella copertina del programma di sala. In effetti con la pazienza di un ragno il Real, scelto coraggiosamente un titolo inaugurale di belcanto anziché di spessore sinfonico (con le conseguenti problematiche di reperimento di un cast all’altezza), riesce a mettere a segno un successo esente da margini di perfettibilità. Per Roberto Devereux oltre un mese di prove sembrerà un eccesso di zelo, e probabilmente lo sarà anche, ma il risultato raggiunto in queste recite è davvero tangibile e fa arrossire quei teatri europei soliti a trattare i titoli di belcanto con la massima approssimazione. Il lusso che il Real si concede scegliendo due direttori per le due compagnie ci consente una digressione preliminare sull’intesa trovata dai mai abbastanza lodati Bruno Campanella e Andriy Yurkevych, rispettivamente per la prima e seconda compagnia, in una concertazione esemplare sotto tutti i punti di vista e declinata con assoluta identità di intenti e risultati in serate diverse. La scelta di contenere l’organico a 8+8 violini, 6 viole, 4 celli e 3 contrabbassi, sfoltendo anche il comparto di ottoni, sottenderebbe il rischio di un suono troppo scoperto ma la qualità dei complessi titulares del Real, complice il numero adeguato di prove, ha consentito la tessitura di una ragnatela sonora leggerissima eppure perfettamente funzionante, priva di clangori, nella quale fosse possibile distinguere con cristallina pulizia gli interventi dei vari settori e apprezzarne i fraseggi, sempre lavorati al cesello.
Se si volesse compilare un manuale sonoro del perfetto direttore di belcanto prim’ottocentesco il tandem Campanella/Yurkevych dovrebbe figurare di certo, non foss’altro per la nobiltà di accompagnamento (quello con la A maiuscola) del duetto Sara-Roberto che chiude il primo atto, estremamente vario e fluido nell’agogica, sempre cangiante e diversamente espressivo in funzione delle varie frasi intonate, così come è d’uopo per dar giusta dignità a una musica sovente bistrattata (e a torto!) in sede critica. Valga ugualmente per l’introduzione dell’aria di Roberto dove gli arpeggi di violini secondi e viole (che un musicologo riterrebbe vile accompagnamento e un direttore - da bandire nel belcanto - guarderebbe con noia) qui attraverso il fraseggio si illuminano di una luce che li eleva a voce dialogante con quella principale dei violini primi; ché sembra quasi di leggere lo stato d’animo con cui Donizetti verosimilmente dovette averla composta, oberato dalla scrittura da onorare con il San Carlo (dove l’opera andò in scena il 28 Novembre del 1837), nonostante fosse al capezzale della giovane amata moglie Virginia. A questo si aggiunga il dato tecnico che Campanella cerca di inchiodare al tempo giusto il baritono scalpitante nella cabaletta, sapendolo riprendere quando lo scalpitìo si fa troppo molesto, mentre Yurkevych riprende in mezza misura un tenore un po’ impaziente nell’attaccare una coda; in mani così sicure la ragnatela non teme strappo alcuno e su di essa i solisti sono nelle condizioni di muoversi in assoluta sicurezza.
Gli stessi elogi devono rivolgersi al Coro del Real (istruito da Andrés Máspero), di nitore e intonazione perfetti, oltre che dalla dizione sorprendentemente ineccepibile. pagina 1