Il ritorno di Falstaff
di Giuseppe Guggino
È un ritorno più che soddisfacente quello dell’ultimo capolavoro verdiano nel teatro battezzato col medesimo titolo nel maggio del 1897. Di notevole rilievo ed omogenee entrambe le compagnie radunate per l’occasione che riescono a far molto bene, nonostante la presenza di Daniel Oren in buca. Delude invece la ripresa dello spettacolo di Luca Ronconi.
Palermo, 22 e 23 febbraio 2020 - Non tra i titoli più ricorrenti, scorrendo gli annali del Teatro Massimo, ma ad ogni ritorno nella casa palermitana che con esso si inaugurò, il Falstaff verdiano si ritrova sovente affidato ai migliori esecutori dell’epoca; basti pensare a Mariano Stabile o Giuseppe Taddei per il ruolo eponimo, oppure a Marcella Pobbe e Ilva Ligabue (Alice forse di riferimento di ogni epoca) o ancora a Bruscantini quale Ford.
Anche in questa occasione il Massimo palermitano non vuole essere da meno, affidando il vecchio Sir John a Nicola Alaimo, che ha voce sì fresca ma che riesce a ricreare tutte le sfaccettature del personaggio maturo, un po’ gradasso, un po’ malinconico, al punto di identificarsi quasi con esso; il risultato è egregio, senza sbavature nella tenuta né l’ombra di eccessi, per non tacere del lavoro sul testo che, sillaba per sillaba, restituisce alla commedia anche il divertimento del verso boitiano, illuminandolo di senso, come si conviene a colui sempre più avviato Falstaff di riferimento dei nostri giorni. Parimenti notevole nel volume, convincente in scena, ma inevitabilmente meno lodevole nel declamato (con qualche défaillance mnemonica) e certamente non aiutato dalla bacchetta è il pur notevole Falstaff della seconda compagnia di Angel Odena, al debutto dopo molti Ford cantati nella penisola iberica. Degni contraltari sono i Ford di Alessandro Luongo e Luca Grassi, entrambi plausibili ancorché meno debordanti per volume a fronte dei rispettivi Sir John.
Le comari, a parte la garbata e musicalissima Jurgita Adamonyte che è Meg in entrambe le compagnie, sembrano gareggiare per bravura fra loro, ed è un gioco che si somma allo scherzo dell’opera. Roberta Mantegna, prima Alice, si impone per l’elegantissima linea di canto su una pasta vocale scura forse più consona rispetto ad Angela Nisi, soprano squisitamente lirico, meno penetrante in termini di proiezione, ma dalla notevole capacità di gestione dei fiati. L’affondo non difetta a entrambe le notevolissime Quickly che sono Marianna Pizzolato e Adriana Di Paola; la prima meno scatenata in scena ma più ammiccante grazie solamente a con qualche occhiata lanciata al momento giusto. Su Nannetta la sfida si fa più audace fra la bravissima Jessica Nuccio nel primo cast, tecnicamente molto più rifinita rispetto al passato, e Giuliana Gianfaldoni, dal timbro luminosissimo, che eccelle nei filati, nel fraseggio, nella tornitura della singola frase, rasentando l’estatica insuperabilità nel momento a solo del terz’atto. I relativi amorosi sembrano rimanerne condizionati e allora Giorgio Misseri canta complessivamente bene anche se con qualche durezza nell’emissione mentre dalla seconda compagnia Giovanni Sala, nonostante l’accompagnamento poco funzionale dal podio, a fianco della Nannetta della Gianfaldoni, disegna un piccolo cameo di adolescenziale incanto.
Su tutti e al servizio di tutti, la lunghissima esperienza quale dottor Cajus del sonoro Carlo Bosi che conosce l’opera a menadito e sembra supportare qualche collega gettato nello smarrimento dal podio. Parimenti notevoli Saverio Fiore e Gabriele Sagona, rispettivamente Bardolfo e Pistola.
La nota dolente viene da Daniel Oren che vorrebbe rasentare il dionisiaco – tensione quanto mai auspicabile nel Falstaff – ma sovente si ferma all’esteriore confusione, al baccano, al’esagerazione delle dinamiche, all’insopportabile effettazione nel terzo atto, non senza scollamenti (e l’accompagnamento del secondo cast al di sotto del minimo sindacale). L’Orchestra del Massimo lo segue per come può, con ottoni recentemente in ottima forma e archi quanto mai claudicanti. Non memorabile la prova del coro istruito da Ciro Visco.
All’annunciato spettacolo di Jacopo Spirei si è sostituito in corsa l’ultimo dei tre diversi Falstaff allestiti da Luca Ronconi nel ventennio 1993-2013. Si procede per sottrazione sì, con le scene di Tiziano Santi (essenzialmente tre teloni e qualche elemento di attrezzeria), ma ciò non serve a ridurre i tempi del cambio scena fra i due quadri dei primi due atti. Né quello del terzo atto, a vista, pare sposarsi con musica lunare su cui avviene, giacché la quercia capovolta cala rumorosamente (con tanto di stacco dell’argano di movimento, conseguente brusco arresto e relativo scuotimento di fogliame) sul lettone di Sir John, ché però non è calvo, così come gli dice Quickly ad un passo dalla fuga finale; questa, con altre piccole sviste, sfuggono al vaglio di Marina Bianchi che ne cura la ripresa. In attesa di idee più geniali, l’eleganza dei bicicli fin de siècle men che la verve dei solisti, sono sufficienti a divertire il pubblico.
Foto primo cast
Foto secondo cast
foto Rosellina Garbo e Franco Lannino