L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Il valore del tele-teatro

di Antonino Trotta

Scherza con l’attualità e flirta col grande repertorio: la prima opera in smart working, commissionata dal Teatro Coccia di Novara durante il lockdown imposto dall’emergenza sanitaria, dimostra che il teatro vive anche a porte chiuse.

Alienati è ancora visibile gratuitamente fino al 4 giugno a questo link-> https://www.ontheatre.tv/index.php

2 giugno 2020 – Tele-opera: per taluni potrebbe sembrare fantascienza, per altri addirittura un sacrilegio. Eppure sarebbe sufficiente voltarsi indietro, spulciare per sommi capi gli ultimi quattrocento e rotti anni di storia del teatro in musica per rendersi conto che esso è sempre lo specchio del proprio tempo, ricettacolo di valori e ideali, altare su cui avvampa il sacro fuoco dell’arte e mai sepolcro eretto per accoglierne le ceneri perché entità in continua evoluzione, pronta ora ad assecondare le tendenze del progresso, ora a incentivarle. Così, nei mesi in cui si è visto calare il sipario su intere stagioni mentre alla ribalta si fischiavano le mende di un sistema contrattuale avaro nei confronti dei liberi professionisti, il Teatro Coccia di Novara – provincia benedetta! – commissiona Alienati, la prima opera interamente confezionata secondo il paradigma dello smart working. Un paradigma che, tra l’altro, non rinuncia affatto al naturale e imprescindibile processo di creazione di un’opera (l’autore che scrive il soggetto, il compositore che lavora col librettista e coi cantanti, il regista che monta lo spettacolo insieme agli interpreti), piuttosto arricchisce l’esperienza del teatro con un interattività che altrimenti, sul palcoscenico, se non impossibile – mi viene in mento solo Stiffelio con la regia di Graham Vick – risulterebbe sicuramente più desueta.

Già perché Alienati, spassosa commedia su soggetto di Stefano Valanzuolo e libretto di Vincenzo De Vivo, più che una trama fatta e finita inanella una serie di blocchi assemblabili secondo opzioni definite dall’utente stesso (si, il modello sembra essere la serie televisiva Black Mirror). Pur nella sua molteplicità, la vicenda è semplice da raccontare: segregati in casa a seguito di un’invasione aliena, un nutrizionista, uno chef, un musicista, un ladro gentiluomo, una Rovinafamiglie e una donna single si affidano alle tele-cure dell’affermato psicologo – come quelli messi a disposizione dalle regioni durante la quarantena ma senza dubbio più facilmente reperibile –, deus ex machina che risolve e assolve, sferza e rinfranca, telaio e motore dell’intera macchina ma anche chiave di volta di una drammaturgia in definitiva coerente e compatta – e con un canovaccio del genere non è scontato –. Due apparecchi squillano nello stesso istante. A chi risponderà il dottore? Sarete voi sceglierlo…

Con la sua variopinta antologia di scene animate dagli umori dell’isolamento forzato e la sua passerella di personaggi altrettanto iridescenti, quasi fossero cartoline appese nelle bacheca della vita ai tempi dell’emergenza sanitaria, Alienati accarezza temi liberamente tratti dalla più disparata attualità, dal vegetalismo inaffidabile alla didattica a distanza, dalla crisi del lavoro al naufragio delle relazioni sentimentali, e lo fa senza mai salire in cattedra con velleità predicatorie, anzi s’impegna ovunque a mantenere il tono della commedia aggraziato e sornione, leggiadro e satirico. In egual misura il testo musicale, composto a dieci mani da Federico Biscione, Alberto Cara, Cristian Carrara, Federico Gon, Marco Taralli ed eseguito al pianoforte con coinvolgente slancio teatrale da Marino Nicolini, corrobora lo spirito brioso che questo encomiabile lavoro di squadra sfoggia dai titoli di testa a quelli di coda. La partitura, infiorettata con simpaticissime citazioni, flirta maliziosamente col grande repertorio mentre gioca con onomatopee e suggestioni folcloriche. Il linguaggio talvolta appare, almeno questa è l’impressione al primo ascolto, cangiante nello stile di scrittura: talora echeggia ad esempio Britten, talaltra le strutture si sviluppano con maggiore prudenza; ciò non pregiudica però la visione d’insieme del dettato, fresco e fruibile, che anzi, nel coniugare ricercatezza estetica ed esigenza di franchezza, individua la formula vincente per reggere tutta la durata – circa novanta minuti nelle sue varie diramazioni – già al debutto in un canale di diffusione decisamente meno generoso del teatro dal vivo.

Se Alienati vi riesce è anche merito dell’eccellente opera di regia, video e audio editing – qualche commento sfuggito alla rimozione nella staffetta di montaggio suggerisce la meticolosità dell’operazione condotta – con cui la grintosa équipe del Coccia (Roberto Recchia, regia; Giuseppe Palella, costumi; Federico Pelle, tecnico audio; Enrico Omodeo Salè, assistente alla regia) finalizza un lavoro che investe tanto anche sulla dialogica visiva – le soluzioni grafiche sono davvero accattivanti –.

Certo all’ottima riuscita di un progetto, per molti aspetti ambizioso, concorre necessariamente anche la scelta degli interpreti e stavolta, come del resto spesso è accaduto negli ultimi anni sulle tavole di legno del Coccia, i protagonisti sono di prim’ordine. Più che di cast, infatti, conviene quasi parlare di parterre de rois: Alfonso Antoniozzi (psicologo), Daniela Barcellona (nutrizionista), Roberto De Candia (chef), Luciano Ganci (musicista), Jessica Pratt (single), Davinia Rodriguez (rovinafamiglie), Nicola Ulivieri (gentiluomo) con i cammei di Giorgia Serracchiani (la moglie del musicista) e della piccola Sofia Frizza (figlia della rovinafamiglie e copia spiaccicata di papà Riccardo), attrice superlativa e vera rivelazione dello spettacolo. Tutti recitano con grande ironia, tutti fraseggiano con gusto e arricchiscono di mille sfaccettature i propri personaggi che, grazie alla serrata collaborazione con i compositori stessi, risultano cuciti a misura di interprete: c’è chi vezzeggia con eccitanti sopracuti, chi si inabissa nelle profondità della propria tessitura senza dimenticare le ragioni del belcanto, chi conferma le proverbiali qualità d’istrione e chi invece dimostra di possederle per la prima volta. Non si parlerà del singolo, come per prassi avverrebbe in una normale recensione – questa poi è una tele-recensione – perché, inutile negarlo, quello che si è ascoltato è lontano anni luce dalla resa che questi artisti eccellenti, protagonisti indiscussi delle scene italiane e non, avrebbero e hanno dal vivo, in teatro – e proprio dal confronto con queste registrazioni fatte in casa, l’idea che si possano fare o che si siano fatti concorsi vocali on-line fa accapponare la pelle –.

Di fatto Alienati, ed è qui il suo grande pregio, non nasce con la presunzione di sostituire la magia dello spettacolo dal vivo perché, è indubbio, un modo diverso per mettere in scena l’opera lirica non c’è. Alienati custodisce tra i suoi intenti un segnale di sincera vicinanza, al pubblico e agli artisti, quand’anche s’impone il distanziamento; dimostra che l’arte sa reagire, reinventandosi, nei momenti di crisi più nera; rasserena il nostro animo perché nonostante i battenti serrati quell’entità mistica, fatta di luoghi e fatta di persone che siamo soliti chiamare teatro, è vivo più che mai.


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