L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

La natura variopinta del tradimento

di Irina Sorokina

Torna l'opera al Teatro Filarmonico con il pubblico in sala a piena capienza: è Così fan tutte di Mozart a riaprire la stagione, in un'edizione che, senza essere perfetta, soddisfa pienamente.

Verona, 02 novembre 2021 - Finalmente anche il Teatro Filarmonico di Verona può accogliere il proprio pubblico al cento per cento e lo fa con un titolo più spigliato e misterioso del repertorio settecentesco, Così fan tutte, la parte conclusiva della trilogia di Mozart-Da Ponte. Nelle Nozze di Figaro l’infedeltà viene giudicata severamente e la frivolezza è mascherata dalla diplomazia. In Don Giovanni il protagonista, portatore dell’idea dell’Eros come la forza cosmica, viene punito. In Così fan tutte il tradimento e lo scambio di coppie vengono visti come cose naturali e piacevoli. Niente catastrofe, né punizione né tanto meno inferno. Una delle fanciulle cede quasi subito, un’altra indugia un pochino. I giovani uomini, visto il tradimento delle fidanzate, dall’inizio ci rimangono male, si sentono indignati, ma presto si calmano e sposano le amanti infedeli. Le birichinate vengono perdonate, le coppie tornano a com’erano prima dello scherzo. Così fan tutte, ossia La scola degli amanti.

Don Alfonso, “un vecchio filosofo” che dirige questo piccolo teatrino di marionette, dice: “È la fede delle femmine come l’araba fenice, che via sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa”. Nel libretto di Da Ponte Fiordiligi e Dorabella sono “dame ferraresi” e l’azione si svolge a Napoli. Tutte e due le cose non hanno nessuna importanza: ogni palcoscenico è adatto a Così fan tutte, e il Teatro Filarmonico ricostruito su modello settecentesco, ma tutto rosso e oro alla maniera dell'Ottocento, è una cornice perfetta. Le anime dei personaggi entrano in uno stato erotico. L’Eros, Dio onnipotente, esercita un’influenza forte soprattutto sulle dame, per cui esse soffrono così esageratamente per la partenza degli amanti e si buttano così frettolosamente nelle nuove storie d’amore. Il mezzosoprano finisce tra le braccia del baritono e il soprano cede ai baci del tenore. Alcuni studiosi mozartiani sostengono che in questa formazione le coppie raggiungano una vera armonia. I dubbi svaniscono se si pensa alla forza dell’Eros. Si ama il proprio desiderio, sostiene Nietzsche. Fiordiligi e Dorabella sono dedite al proprio desiderio e non a Guglielmo e Ferrando , ecco perché ha poca importanza con chi alla fine andranno “parcheggiate”.

A vedere sulla locandina il celebre titolo mozartiano, gioia e speranza rivivono nei cuori dei melomani veronesi. C’è sicuramente voglia di divertirsi, dopo quasi due anni dei problemi legati alla pandemia, incontrare in teatro degli amici con cui scambiare delle opinioni e, perché no, delle critiche.

Lo spettacolo affidato al giovane regista Yamal Das Irmich, che da undici anni fa parte dello staff dell’Arena di Verona, è molto carino, sulla scia della tradizione, radicata ormai, di trasferire l’azione in un’epoca più vicina alla contemporaneità e modificare l’ambientazione. Al Settecento è concesso un meritato riposo e la dolce Napoli è un lontano ricordo: le due “dame ferraresi” del libretto diventano due ragazze “per bene” e vivono in una cittadina americana degli anni Cinquanta del Novecento; la vita programmata secondo le regole, corteggiamento a scopo di matrimonio, non esclude il loro palese appetito sessuale, decisamente più forte dei loro corteggiatori. Ben venga la modernizzazione, come ben vengano i colori bianco, grigio e nero che dominano il primo atto (un’allusione al cinema dell’epoca) che strada facendo vengono sostituiti dal rosso e blu: un’idea molto simpatica che però non viene sviluppata a sufficienza. Le scenografie leggere e ben funzionanti di Angelo Finamore sono in sintonia col tono della regia, ma stona un po’ il contrasto tra due atti: il primo con lo spazio ben ”arredato” e il secondo piuttosto vuoto. Eleganti e simpatici sono i costumi di Silvia Bonetti, che gioca col bianco, grigio e nero, e non trascura lo sgargiante fucsia, perfetto per la iperenergica e cinica Despina. Si poteva evitare un oggetto attaccato ai pantaloni degli uomini a livello dei genitali nel secondo atto che parla apertamente delle loro intenzioni e sa di volgarità.

Il cast che si esibisce al Filarmonico ottiene un giudizio positivo, anche se nessuno è perfetto in questo mondo. Il soprano coreano Vittoria Yeo non riesce a rendere totalmente sua la parte di Fiordiligi: ha una preparazione solida, una voce resistente e ben sonora anche se leggermente graffiante, vanta agilità sicure e fraseggio espressivo. La femminilità e la capacità di sedurre non sono il suo forte, la vedremmo e ascolteremmo più volentieri in un repertorio diverso.

Chiara Tirotta in possesso di una voce molto ben timbrata, gradevole e vellutata e molto adatta ai ruoli di ragazze sveglie e furbette, disegna una Dorabella credibile e delizia l’orecchio nei registri centrale e acuto, ma quando bisogna adoperare le note basse perde la battaglia.

Enkeleda Kamani è una Despina, giustamente non appesantita da una morale qualsiasi, lesta e fredda. Se si vuole pensare al Così fan tutte veronese in termini di una gara, la medaglia d’oro va a lei: la cantante albanese offre un’interpretazione indimenticabile. Ma anche i vincitori hanno dei difetti: nel caso della Kamani è il volume insufficiente della voce e la troppa frenesia sia nelle movenze sia nel canto.

Il baritono toscano Alessandro Luongo già vanta una bellissima figura e un fascino personale non indifferenti, ma il cielo gli concede un ulteriore dono: è un autentico animale da palcoscenico pieno di energia e d’amore per la vita. Dona a Guglielmo la propria simpatia e passionalità ma esagera rendendolo un po’ caricaturale. Molto bene la voce, omogenea, burrosa e seducente.

Il suo compagno d’avventura, il dolce Ferrando ha il volto e la voce di Marco Ciaponi (toscano anche lui), che riesce a ritagliarsi uno spazio personale all’interno dello spettacolo veronese: il merito va alla sua voce di tenore, sempre ricercata, dotata di uno smalto incantevole, di buon legato e di una gestione dei fiati perfetta.

Alfonso Antoniozzi rimane un maître intramontabile, maestro di stile, un Don Alfonso da manuale, anche se la voce non ha lo smalto di una volta e a volte risulta affievolita, esprimendosi meglio nelle espansioni cantabili che non nei recitativi.

L’orchestra areniana è guidata dalla bacchetta di Francesco Ommassini che affronta con brio e sensibilità una situazione insolita, il posizionamento d’orchestra fuori dalla buca, a livello del palcoscenico e con i professori divisi da pannelli trasparenti, il che rende l’acustica già difficile del teatro veronese ancora più problematica. Sempre efficace e partecipe il coro preparato da Vito Lombardi, alla sua ultima produzione per la Fondazione Arena.

Un successo discreto con la presenza del pubblico non ancora numerosa e tante speranze per il Filarmonica a capienza piena, come per gli altri teatri italiani.


 

 

 
 
 

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