Il trionfo della Signora Operetta
di Irina Sorokina
Il Teatro Regio di Parma apre la stagione nel segno dell'operetta ricordando lo storico teatro distrutto durante la guerra. Ben congegnata la drammaturgia, eccellente il cast galvanizzato da Alfonso Antoniozzi.
Parma, 12 dicembre 2021 - C’era una volta, si può affermare con non poca tristezza. C’era una volta un gran bel genere teatrale, chiamato operetta che per circa centocinquant’anni riscosse successi e riempì i teatri. C’era un bel schieramento dei compositori capaci di creare delle melodie di rara bellezza che diventavano popolari la mattina dopo della première. C’erano dei teatri dove le operette e le loro sorelle più giovani, le commedie musicali, trionfavano ogni sera. Nell’Unione Sovietica che si andò a benedire esattamente trent’anni fa, a dicembre del 1991, in una città che raggiungesse un milione di abitanti c'era l’obbligo di costruire un teatro d'opera e balletto, una scuola di ballo e un teatro di commedia musicale. Alcuni di quest’ultimi sopravvivono ancora sugli spazi immensi dell’attuale Federazione Russa e producono spettacoli di qualità, anche se i tempi moderni li costringono spesso di abbandonare le operette classiche a favore dei musical e seguire la politica francamente commerciale di mettere in scena dei musical popolari per alcune settimane di fila. Fa una grande tristezza questo cedimento definitivo al freddo e spietato spirito di commercio e non ci si possono fare illusioni: l’operetta non avrà più lo stesso posto nei cartelloni dei teatri e le nuove generazioni avranno possibilità scarse di conoscerla e godersela.
Al Teatro Regio di Parma hanno deciso di consolare vedovi e vedove d’operetta che, per fortuna, sono ancora in vita. La stagione del 2021-2022 si è aperta con una produzione creata appositamente per il teatro emiliano, omaggio al Gran Teatro Reinach che sorgeva non lontano dal Regio.
Nato nel 1867 in seguito della donazione alla città di Parma del banchiere tedesco Oscar Reinach, premiato con la cittadinanza onoraria di Parma, il teatro per circa ottant’anni fu uno dei centri importanti della vita cittadina finché il 13 maggio 1944 non fu distrutto da una bomba sganciata dalle forze alleate. Due mesi prima dell’evento tragico per la città, la Compagnia italiana delle operette Roses portava in scena due spettacoli al giorno: la sua attività e i successi continui non furono impediti né dalla guerra, né dall’occupazione nazista. Ricordando spesso la definizione dell’opera di Franz Werfel che chiama l’opera “Signora” insistiamo continuamente di chiamare così anche sua sorella minore, operetta, appunto. “La Signora Operetta”, che da più di due secoli porta nei cuori degli amanti del teatro musicale allegria e dolcezza, venerdì 10 dicembre e domenica 12 dell’anno in corso ha avuto quel che merita sul bellissimo palcoscenico del Teatro Regio di Parma. La produzione originale, con la drammaturgia e i testi scritti da Sergio Basile, la regia di Marco Castagnoli, le scene di Franco Ventini, i costumi di Lorena Marin, le luci di Andrea Borelli e le coreografie di Luisa Baldinetti porta il nome dello storico teatro della città, distrutto e mai ricostruito.
La nuova produzione è basata sui brani da La vedova allegra (Franz Lehàr, 1905), Cin ci la (Virgilio Ranzato, 1925), Il paese dei campanelli (Carlo Lombardo, Virgilio Ranzato, 1923), Al Cavallino bianco (Ralph Benatzky, 1929), Scugnizza (Mario Pasquale Costa, 1922), Addio giovinezza! (Giuseppe Pietri 1911 circa), Il paese del sorriso (Franz Lehàr, 1923), Ballo al Savoy (Paul Abraham, 1930 circa) , L’acqua cheta (Giuseppe Pietri, 1920 circa), Orfeo all'inferno (Jacques Offenbach, 1858). Sono alcune delle operette scritte da compositori ai loro tempi popolarissimi e rappresentate al Gran Teatro Reinach: qualcuno potrebbe pensare che al Regio si è puntato a un solito pastiche di brani popolari, ma non si tratta di questo. Il libretto di Sergio Basile racconta la vita del teatro stesso, ricrea le sue atmosfere a volte struggenti, a volte esilaranti, sceglie il protagonista nella figura del Maestro Suggeritore che trasmette “il fuoco sacro” che arde nell’anima di tutte le persone che il teatro lo amano.
Il Suggeritore, rimasto solo nell’edificio che dal momento all’altro potrebbe essere distrutto senza nessuna intenzione di lasciarlo, accoglie alcuni giovani partigiani. Il teatro abbandonato ormai offre a loro rifugio e il Suggeritore li trasforma nei membri di una compagnia d’operetta. Alla fine l’anziano custode morirà insieme al suo amato teatro, mentre i giovani partigiani-attori si salveranno: l’incontro tra due generazioni porterà buoni frutti.
Il regista Marco Castagnoli sceglie la via ben collaudata per la sua regia, quella del “teatro nel teatro”, ma evita felicemente ogni banalità. Fa immergere lo spettatore nel passato, lo disegna con amore e vivacità capaci di affascinare anche le persone giovani. Apre le porte ad un mondo non facile come tutti i mondi, ma con la presenza costante di vitalità, gioia, arguzia che nel mondo d’oggi spesso mancano: vorremmo sperare che la bella produzione parmigiana potesse coinvolgere anche il pubblico giovane aumentando lo spirito di speranza e positività, ma non lo possiamo sapere.
Il vero mattatore della produzione è, senza dubbio, il celebre baritono Alfonso Antoniozzi che da sempre unisce le doti canore con un talento eccezionale di teatrante e si cimenta anche col mestiere di regista; il ruolo del Suggeritore gli calza a pennello fino a far credere allo spettatore che non esiste nessun cantante di nome Antoniozzi, ma un uomo molto speciale, bello, dalle fattezze nobili e dal portamento fiero che aveva dedicato la vita intera al suo amato teatro. Il baritono viterbese vanta una naturalezza estrema nel parlato e una voce che può dare ancora molto: domina la scena e serve da collante perfetto ai dialoghi e ai pezzi cantati. Alla fine dello spettacolo viene premiato da un’ovazione pienamente meritata.
Fra i conoscitori e amanti dell’operetta è inevitabile la nostalgia della leggerezza e dell’ironia di una volta, dell’autentico chic, della capacità di portare il frac per l'uomo e l’abito lungo per la donna, della capacità degli attori-cantanti di divertirsi e far divertire il pubblico. Crediamo che in molti siamo stati “affetti“ dai dubbi terrificanti varcando la soglia della sala del Regio, ma… sono stati felicemente risolti. Abbiamo pagato biglietto per avere una vera festa e la festa l’abbiamo avuta. Non esiste una buona operetta senza una coppia valida di innamorati e Gran Teatro Reinach, per nostra fortuna, l’ha trovata: Giuseppe Vezzicco (Mino) e Eleonora Buccarini (Caterina), con tutte le carte in regola per il capriccioso genere, recitano, cantano e ballano con un’autentica disinvoltura, ma soprattutto disegnano protagonisti credibili e davvero simpatici. Bravissimo tutto il resto del cast, Lucrezia Drei/Adalgisa, Valentino Buzza/Natale, Claudia Urru/Alba, Manuel Amati/Lazzaro, Marco Bussi/Achille, Chiara Tirotta/Mercede, voci belle e capacità attoriali indiscusse.
Non passa certo inosservato Massimo Fiocchi Malaspina nel ruolo del maestro accompagnatore Brustolon e producono un grand’effetto comico due attori, Filippo Lanzi/Attila Boltazzi e Thomas Rizzoli/maggiore Kessler, quest’ultimo davvero esilarante grazie al caricaturale accento tedesco.
Gianluca Martineghi dirige orchestra Rapsody con finissima comprensione di stile e autentico trasporto, in armonia perfetta tra il lirismo un po’ sentimentale tipico d’operetta e la comicità necessaria. Abbiamo trovato eccessiva l’amplificazione delle voci.
Un grande gioia, assistere alla nuova produzione del Teatro Regia di Parma. Una grande tristezza, lasciare la sala. Signora Operetta, quanto tempo ci vorrà per baciarti la mano di nuovo?