Le voci della Passione
di Roberta Pedrotti
Il trittico pasquale della Filarmonica Toscanini si affida felciemente alle bacchette di Federico Maria Sardelli ed Enrico Onofri, alle voci di Sara Mingardo, Carmela Remigio e Marianna Pizzolato, alle musiche di Vivaldi, Sardelli, Pergolesi e Haydn per cantare il passaggio dal dolore alla vita attraverso l'esperienza e la comprensione della morte.
PARMA, 1, 2 e 3 aprile 2021 - Tre voci di una stessa Passione. Non necessariamente un atto di fede, di una fede specifica, ma sempre un passaggio: la morte e resurrezione di Gesù, l’Esodo dall’Egitto alla Terra promessa, le morti e resurrezioni di Osiride, Dioniso, Adone, il passaggio dal regno dei morti a quello dei vivi di Persefone, la rinascita primaverile dopo l’inverno. A Parma, in tre serate, La Toscanini intona i momenti del dolore prima del passaggio e della rinascita intorno agli Stabat Mater di Vivaldi e Pergolesi, alle Ultime sette parole di Cristo in croce di Haydn. I concerti, in streaming, sono registrati alla Certosa, che non è solo un luogo di rara bellezza, ma in quel riverbero restituito ai microfoni ci rende non già il fastidio dal vivo di un concerto in un’acustica non ottimale (per quanto certa musica sacra cerchi proprio i riverberi di ambienti simili), quanto piuttosto il piacere ancora differito della percezione dello spazio e del suono che lo abita.
Per il Prete rosso, sul podio abbiamo non solo uno dei massimi esperti viventi, ma anche il devotissimo allievo compositore, formatosi alla sua scuola superando la distanza di tre secoli. Federico Maria Sardelli dimostra ancora una volta come il rigore e la consapevolezza filologica siano strumenti di ricchezza espressiva, senza i quali l’interprete scrive nel fumo sul filo dell’arbitrio esprimendo solo in minima parte il reale potenziale del testo. Nelle logiche, negli equilibri, nelle arcate, nelle vibrazioni, nei tempi stanno il senso, la forza e la profondità di queste partiture, anche quando incontrano il canto controllatissimo, concentrato dritto al bersaglio, di Sara Mingardo, sia nello Stabat Mater, sia nel Salve Regina, se possibile ancor più sublime e toccante nella sua estrema essenzialità. Peraltro, la ricchezza strumentale, in cui si annovera anche il virtuosismo integrato al testo e non meramente esornativo, si esprime in pienezza anche nei concerti che si alternano agli inni rievocando una sorte di “bottega” vivaldiana, con maestro e discepolo gomito a gomito. Apre il programma il Concerto in do maggiore, RV 556 Per la Solennità di San Lorenzo, fra i due brani cantati ecco il Concerto per archi e cembalo in sol minore, RV 157 fra due opere di Sardelli, il Concerto per violino in sol minore e il Concerto per fagotto in sol maggiore, L’incostanza. E Incostanza è davvero il titolo perfetto, non per ispirazione e qualità, ma per varietà di carattere che trova nel borbottio o nella cantabilità del legno registri ora comici, ora patetici, ora nobili. Davide Fumagalli al fagotto, Mihaela Costea e Victoria Borissova violini concertanti, lo stesso Sardelli e Petr Zejfart per i flauti dritti e traversiere nel Salve Regina sono voci soliste non meno incisive e portanti di quella del contralto.
Dopo il vigore guizzante o introspettivo in seno alla Serenissima, il 2 aprile ci spostiamo a Napoli, con lo Stabat Materdi Pergolesi concertato da Enrico Onofri, direttore principale della Toscanini. Il principio fondante resta il medesimo - rigore e consapevolezza - ma cambiano testi e interpreti, sentiamo, sempre con passo spedito e felici contrasti, la pasta più morbida, l’inclinazione al melos della scuola partenopea in tutti i suoi chiaroscuri, incarnati a meraviglia anche dalle voci: Carmela Remigio ha oggi sempre più una seducente screziatura della voce, un fraseggiare asciutto quanto sciolto e articolato che si pone in rapporto complementare con il calore vellutato di Marianna Pizzolato, sì da esprimere e amplificare come due facce di una sola medaglia tutto il pathos e il dramma del lamento universale della Madre sul figlio agonizzante.
Infine. sabato 3 aprile, la voce non è nemmeno più cantante, non articola più il melos, ma enuncia il logos dell’indicibile odierno. Per la drammaturgia di Andrea Chiodi, passi evangelici e di Paul Claudel sono affidati all’attrice Francesca Porrini, a due studentesse -Giulia Bridelli, Ilaria Mohamud Giama -, un volontario della Protezione Civile - Fabio Bussetti -, un’infermiera -Michela Zuelli -, un docente universitario in pensione - Giorgio Borasio -, un’allieva della Scuola di Polizia Penitenziaria -Roberta D’Ambrosio -, una volontaria della Croce Rossa Italiana - Sofia Palladini -, una donna incinta - Simona Carrara -, un medico - Alessandra Cancellieri. L’indicibile sta, poi, nella musica senza parole. Nelle Ultime sette parole di Cristo in croce che Haydn fa esprimere all’orchestra sola e qui si alternano al logos. Ancora Onofri sul podio; il perdono, la speranza, l’affetto, l’angoscia, il dolore fisico, la rassegnazione, la consolazione, il percorso umano intorno al mistero della morte ha la pienezza d’eloquio della maturità haydniana, una tensione tragica e sublime che si concretizza in un fraseggio sorvegliatissimo, nella definizione dei dettagli, i colori calibrati con saggezza. Così il percorso si chiude, dal dolore di una madre in due prospettive e tre voci, alla morte del figlio senza canto ma fra mille voci, dal lamento, all’elaborazione, al passaggio, fino al terremoto. Perché siamo ancora qui, nel dramma, nella vita, a reagire senza fermarci.