Riscoprire il già noto
di Antonino Trotta
Ancora una serata di trionfale all’Unione Musicale: già noto al pubblico torinese, Seong-Jin Cho si lascia meglio conoscere nella sua dimensione di virtuoso e interprete con un recital entusiasmante dedicato a Ravel e Chopin.
Torino, 24 novembre 2021 – Capita spesso di ascoltare, come fosse la prima volta, un artista che in realtà si è ascoltato ben più di una volta. Se la memoria non inganna, a Torino Seong-Jin Cho s’era esibito almeno due volte, sicuramente col terzo concerto per pianoforte di Beethoven diretto da Chung per MITO SettembreMusica e col terzo di Rachmaninov diretto da Shokhakimov alla Rai, confermando dal principio l’infallibilità di una tecnica pianistica parte integrante, se non fondante, di quel bouquet di doti che ne ha arriso la ribalta. Ospite della virtuosa Unione Musicale, con l’esaltante recital incentrato su pagine di Ravel e Chopin si guadagna solo ora la possibilità di entrar in contatto diretto con l’artista, di prendere confidenza con l’interprete, di lasciarsi soggiogare dal fascino di una personalità musicale sfaccettatissima e ben definita che nel firmamento pianistico ha ragione e diritto di essere.
Pavane pour une infante défunte sarebbe da rimuovere dal programma poiché essa si risolve in una generale correttezza, annuncia in sordina il campione uscente di Varsavia quando all’inizio egli potrebbe subito far squillare le trombe, e francamente si dubita servi a scaldare le mani per l’infernale Gaspard de la nuit. Già con i trois poèmes pour piano d’après Aloysius Bertrand la storia cambia radicalmente. Ancora memori e vittime delle carezze ai timpani che Arcadi Volodos elargì generoso qualche settimana fa, in Ondine non si trova quell’immaterialità di suono che calzerebbe a pennello con la scrittura soffusa e acquatica di Ravel, tuttavia il pianista coreano qui comincia a mettere in luce la grande capacità di temperare l’atmosfera con un fraseggio carico di mordente, di disseminare e scolpire accenti lungo arcate chilometriche, di miniare con intelligenza e stile ogni singola frase, specie nelle chiusure, mai lasciate al caso. Le gibet, spesso oppresso dalla prospettiva dello Scarbo da suonarsi, è potenzialmente noiosissimo e quando mal eseguito si contano i si bemolle nell’attesa che finisca; il fatto che ora ci tenga col fiato sospeso restituisce l’esatta misura del talento espressivo di Cho. Scarbo è palcoscenico al pianismo belligerante, i ribattuti al fulmicotone, le vertiginose volate chiuse ovunque con massima teatralità, i controcanti che emergono in un clima altalenante tra l’irrequieta quiete e la brillantezza luciferina, tutto concorre a una lettura elettrizzante per il virtuosismo che Cho sfoggia e per il pensiero musicale che lo governa.
Chopin, sembra banale scriverlo, è terreno d’elezione e l’esecuzione delle pagine del Polaccoè pressoché sensazionale, sensazionale al punto che è quasi impossibile riferirne con esattezza. Lontano tanto dal matematicismo esatto di Pollini quanto dal pianismo aristocratico e sopraffine di Zimmermann – tanto per dar due riferimento, del è giusto che sia così –, Cho intavola una lettura dei quattro Scherzi profondamente emotiva, poetica, condotta nel desiderio più totale di conferire spessore e importanza narrativa a ogni singolo dettaglio presente in partitura. Cho si muove con assoluta libertà tra agogiche e dinamiche, una libertà che però è spazio sapiente di manovra e mai anticamera dell’anarchia: accelera e ruba con superba maestria, ora cerca il velluto ora percuote la tastiera per ottenere suoni ruvidi e violenti, cavalca l’onda travolgente di una drammaturgia musicale che afferma la supremazia dell’interpretazione sull’effettismo e scandisce a chiare lettere la cifra maiuscola e la dimensione dell’artista.
Due bis – notturno in do diesis minore e studio op.10 n.12 – e trionfale accoglienza del pubblico, di quella così appassionata che già da sola è ragione di autentico entusiasmo. Un’altra serata da incorniciare in attesa di scoprire le sorprese per la rimanente parte della stagione.