Mondi di colori e frammenti
di Roberta Pedrotti
La prova affascinante di Mikhail Pletnëv è il cardine della serata della Filarmonica del Comunale per la stagione concertistica del teatro bolognese.
BOLOGNA, 21 febbraio 2022 - L'ultima volta, Mikhail Pletnëv si era esibito a Bologna in veste di direttore [Bologna, concerto Buniatishvili/ Pletnev, 23/01/2017]. Ora, finalmente, lo rivediamo sedere al pianoforte e per un pezzo ad altissima gradazione virtuosistica come il Concerto in sol di Ravel. In realtà, quella del podio resta ben più di una tentazione, perché la sua personalità domina incontrastata nell'imporre la centralità del solista e del suo fraseggio. Finnegan Downie Dear si prodiga nei meandri della partitura tutta guizzi e incisi, ma dovrà attendere la seconda parte della serata per dirci davvero la sua.
Tocco morbido e definito, libertà espressiva che è tutt'uno con la maestria e la coerenza nel creare un proprio percorso e, anzi, un proprio mondo. Il gioco estremo di colori e dinamiche, ad alto rischio, è gestito con tale maestria da non lasciare adito a dubbi, rapinoso e coerente nella densità impalpabile dell'Adagio assai come nell'Allegramente e nel Presto. Quest'ultimo viene anche ripetuto come primo bis, con Pletnëv che riesce a galvanizzare maggiormente anche l'orchestra in un crescendo sempre più assertivo. Poi, fuori programma tutto suo, scioglie fra le dita L'alouette di Glinka trascritta per piano da Milij Balakirev e ne fa un'intima espressione di libertà, delicatissimo dipanarsi di rubati e nuances fra suoni di profonda purezza. Una perla che manda giustamente in visibilio il pubblico bolognese.
La seconda parte del concerto sembra dover cercare ad ogni costo un contrasto. Dal Novecento di Ravel, al classicismo di Haydn. Volendo si potrebbe parlare della modernità del ritmo meccanico per il quale la Sinfonia n. 101 è detta L'orologio; volendo si potrebbe parlare del richiamo alle forme classiche nel riprendere, da parte del francese, il concerto solistico. Tuttavia è ben evidente che stiamo giustapponendo mondi diversi. Downie Dear mantiene una cifra di trasparenza, colori chiari, pulizia timbrica mossa da un alacre lavorio dinamico. Certo, è inevitabile che il calor bianco si sia scatenato per il pianista e che sia arduo riaccendere il pubblico di pari entusiasmo, ma pure non manca la buona accoglienza della platea del Manzoni.