L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Eterni giochi di maschere

di Antonino Trotta

Come regista e baritono protagonista, Luca Micheletti guadagna un duplice successo nel dittico La serva padrona/Trouble in Tahiti del Teatro Carlo Felice di Genova.

Genova, 30 gennaio 2022 – Duecento anni di distanza collassati in un’apertura di sipario. Da un lato la realtà di tutori e pupille, serve e padroni, dall’altro quella di coppie in crisi nella perversione della rassicurante quotidianità, di corna e psicanalisi: è il teatro che racconta, spesso con cinismo e tagliente ironia, la società che in esso si riflette; è il teatro che riassume l’uomo in maschere, maschere che, sì, evolvono nel linguaggio, ma nella sostanza si conservano sempre fedeli a se stesse, con l’inerzia nel genere umano che sembra quasi fare a botte con la repentinità del progresso. Perché, in fondo, in duecento anni è cambiato tutto e non è cambiato niente.

Il dittico La serva padrona/Trouble in Tahiti firmato da Luca Micheletti è l’ennesimo gioiellino nel cartellone del Teatro Carlo Felice proprio perché gioca, con somma delicatezza, sull’eterna ricorrenza di tali maschere. C’è, ad esempio, del Pantalone tanto in Uberto quanto in Sam, perché entrambi maschilisti, brontoloni, sensibili al fascino femminile, al fascino di una Colombina che per scaltrezza e rapidità nell’elaborazione di una bugia, seppur indirizzate a obiettivi diversi, è massimo comune divisore tra Serpina e Dinah, casalinga disperata. Così, con un magnifico gioco di teatro a scatole ideato da Leila Fteita che contestualizza alla perfezione l’azione in un secolo o nell’altro, nell’intermezzo buffo di Pergolesi vediamo Pantalone e Colombina intenti a combinare quell’affare di matrimonio che nell’opera di Bernstein finirà col naufragare nel mare della consuetudine. Scoppiettante “il primo atto” di questa storia d’amore, malinconico il secondo, Micheletti manovra le maschere sul palcoscenico con estremo garbo. In Pergolesi, dove il fortepiano sembra accompagnare il meccanismo di queste scatole-carillon che man mano descrivono, con magnifici dettagli, il palazzo di Uberto, l’ironia non si trasforma mai in buffoneria perché la recitazione è tutta in punta di fioretto, misurata nel gesto, ponderata. Il finale alternativo, poi, ci introduce con guizzo a Bernstein: Serpina e Uberto, pur conservando costumi che richiamano le antiche ed eterne maschere, si trasformano in Sam e Dinah. Nel “secondo atto” del dittico il gioco scenografico si fa più fluido e repentino, assumendo un taglio decisamente moderno: la crisi matrimoniale è sotto gli occhi di tutti, sotto gli occhi di chi osserva commentando e di chi osserva in silenzio, e le maschere si trovano costrette a indossare altre maschere, quelle di facciata, che illudono proteggere gli interessati dall’attenzione pubblica.

Micheletti è mattatore anche sulla scena: la linea di canto, come la recitazione, è elegante, la voce bella, sonora, proiettata, il fraseggio curato nella dinamiche e nell’accento. Qualità, queste, che si ripropongono intonse anche in Bernstein, dove scrittura e amplificazione impongono un’impostazione diversa ma lasciano tutto il margine necessario all’espressività e al buon gusto. Ottima anche Elisa Balbo, capace di animare con frizzanti variazioni Serpina e di restituire Dinah con una variegata palette cromatica. A loro fianco fanno bene Giorgio Bongiovanni, Vespone in La serva padrona e i due trii, quello jazz (Melania Maggione, Manuel Pierattelli, Andrea Porta) e quello “silent” (Maria Grazia Stante, Samuel Moretti, Simone Campisi).

In buca Alessandro Cadario non mostra alcun spaesamento dinnanzi a due titoli musicalmente così diversi e dirige i complessi del Carlo Felice con contezza di stile. Cadario concerta il testo musicale di Pergolesi con freschezza, leggiadria, mordente, così da valorizzare appieno la sapidità del dettato settecentesco. In Bernstein quello stesso umorismo è declinato con un taglio più patetico, ricamato su tessuto orchestrale che sa farsi più ricco ma non per questo più invasivo, in cui tutti i preziosismi della scrittura novecentesca sono sempre esposti col giusto risalto.

Applausi calorosissimi, specie dopo il Trouble, per tutti gli artisti. Ora contiamo i giorni che ci separano dall’attesissima Anna Bolena affidata a un cast eccezionale.


 

 

 
 
 

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