Ti desta Luisa
di Stefano Ceccarelli
Dopo essere già stata messa in scena dal Costanzi in forma di concerto e trasmessa in streaming, la Luisa Miller di Giuseppe Verdi torna diretta da Michele Mariotti, alla testa dell’orchestra del Teatro dell’Opera di Roma, con la regia di Damiano Michieletto. Il cast comprende Roberta Mantegna nel ruolo del titolo, Michele Pertusi (Walter), Antonio Poli (Rodolfo), Daniela Barcellona (Federica), Marco Spotti (Wurm) e uno straordinario Amartuvshin Enkhbat (Miller).
ROMA, 17 febbraio 2022 – Durante i momenti più bui della pandemia, quando era impossibile accedere ad un teatro, il Costanzi ebbe la meritoria idea di mandare in diretta, sul suo canale YouTube, una produzione di Luisa Miller di Verdi in forma di concerto, diretta da Michele Mariotti (leggi la recensione). La direzione artistica del teatro ha ben pensato di riportare lo spettacolo in scena in questa stagione operistica, sotto la regia di Damiano Michieletto.
Michieletto ambienta la sua regia in uno spazio metafisico, strutturato sulla sovrapposizione speculare, in verticale, di due saloni signorili, con ampie finestre. In questo spazio si muove l’azione scenica, vivacizzata da una piattaforma rotante al centro del palco. Un ulteriore elemento di dinamicità si trova nell’uso di un cubo, che si può aprire e chiudere, posizionato sempre al centro del palco. Le scene, firmate da Paolo Fantin, hanno il pregio di rendere immediatamente visibile il contrasto fra le due famiglie, quella di Luisa e Rodolfo, che sarà poi il motivo fondante (e topico) della loro morte. Sono ben illuminate (Alessandro Carletti), rendendo alcuni momenti della regia indimenticabili, come l’ultimo atto. Complessivamente, però, Luisa Miller si adatta poco ad essere letta in maniera così disadorna – a livello scenico, naturalmente: questo impianto registico risente nettamente del gusto mitteleuropeo, molto più sperimentalista (lo spettacolo è stato pensato per l’Opernhaus Zürich). I costumi, cromaticamente disadorni e poco caratterizzanti, non aiutano la fantasia dello spettatore. La regia di Michieletto, che presenta qualche momento effettivamente piacevole e d’effetto, a lungo andare stanca, costretta in uno spazio angusto, claustrofobico; spazio, peraltro, che si sarebbe potuto aprire maggiormente, magari sfruttando di più le ampie finestre, da provvedersi – eventualmente – di sfondi pensati per determinate scene. Per esempio, ne avrebbe certamente giovato l’inizio dell’opera, con il solare coro contadinesco e i festeggiamenti per il compleanno di Luisa. Ciò detto, va riconosciuto comunque a Michieletto più di un momento spettacolare e di una trovata intelligente. In particolare, ricorderei l’intero ultimo atto, il III: commovente la scena in cui Luisa getta a terra i gigli, camminando sulla pedana girevole, o il momento della morte della protagonista e di Rodolfo, intensamente vissuta. Non originale, ma comunque ben resa, l’idea di presentare in scena due attori bambini nei ruoli di Rodolfo e Luisa. Doppioni innocenti degli infelici protagonisti, i due piccoli attori meritano il plauso per l’interpretazione e il regista merita una lode per la scena con cui si chiude l’opera, quando il cubo centrale sul palco si apre scoprendo i due bambini mentre fanno innocentemente a cuscinate, mentre i loro corrispettivi adulti muoiono avvelenati.
Michele Mariotti, nel dirigere l’opera, mette in campo tutta la sensibilità che lo caratterizza nel repertorio belcantistico: attenzione agli effetti volumetrici del suono orchestrale, accompagnamento attento innanzitutto a valorizzare la voce degli interpreti, attacchi rallentati nelle cabalette, che servono a dare abbrivio d’effetto all’esecuzione delle stesse, valorizzazione dei colori orchestrali. Insomma, tutto ciò che si può desiderare da un direttore che legga Luisa Miller. L’orchestra del Costanzi si distingue per la resa di molti passaggi; il coro fornisce una buona performance. Il cast vocale rende complessivamente giustizia alla bellezza dell’opera, forse meno apprezzata di quanto meriterebbe. Roberta Mantegna canta una Luisa che cresce d’intensità nel corso di tutta l’opera; l’impressione che si ha, infatti, è che l’interpretazione della Mantegna trovi pieno compimento solo nel III atto, dove inanella due splendidi duetti, con il padre e Rodolfo, nei quali l’interprete, con voce solida e piena, deliba tutti gli accenti del dolore di Luisa. Non si può dire lo stesso, però, dei due precedenti atti. Nella sua cavatina («Lo vidi, e ’l primo palpito»), certamente non un pezzo semplice, la Mantegna mostra una voce non ottimamente centrata e acuti forse un po’ duri: anche il pubblico se ne accorge, non applaudendo l’interprete alla fine di un pezzo brillante, pensato per accattivare le simpatie degli ascoltatori. Se l’inizio presenta qualche incertezza, però, l’interprete migliora la sua performance nel corso dell’opera, anche se «Tu puniscimi, o signore» e la rispettiva cabaletta non svettano come dovrebbero, forse penalizzate anche da una direzione troppo ristagnante di Mariotti. Il Rodolfo di Antonio Poli, invece, è convincente nel corso di tutta la serata. Poli, che ha ispessito la voce nel corso degli anni, mostra un nerbo più robusto a sorreggere il mellifluo timbro tenorile che è la sua più autentica firma. L’interprete dona una lezione di canto in più punti dell’interpretazione, cantando i suoi duetti in maniera magistrale. Tutte le doti di Poli si palesano nella celebre aria «Quando le sere al placido», dove il cantante crea un’invidiabile linea di canto, passando disinvoltamente fra i registri. Unico neo della performance di Poli è il suo svettare nella zona sovracuta: tali suoni sono, infatti, un po’ intubati e duri rispetto al resto della ricchezza cromatica di cui il cantante è capace. Michele Pertusi canta uno smagliante Conte di Walter, aiutato da una voce solida, cavernosa, possente, che rende bene l’ethos del personaggio. La sua cavatina «il mio sangue, la vita darei» risuona piena e corposa, come pure il suo duetto con Wurm, dall’atto II, in particolare l’epica cabaletta («O meco incolume sarai, lo giuro»), che tanto ricorda il Bellini dei Puritani. Il Wurm di Marco Spotti è eccellente non solo sul piano vocale, palesando accenti ferrigni e viperini, ma anche – e soprattutto – sul lato interpretativo, giacché Mariotti prevede per lui una cura particolare nel simulare deformità fisiche e atteggiamenti viscidi. La vera sorpresa del cast, forse il cantante più calorosamente applaudito dal pubblico durante l’intera opera, è Amartuvshin Enkhbat. Un fraseggio magnifico e una voce ricchissima di armonici, porta con sapienza e gusto, rendono il Miller di Enkhbat indimenticabile. Dopo una magistrale esecuzione della cavatina, «Sacra la scelta è d’un consorte», il teatro viene letteralmente giù dagli applausi; in effetti, chiudendo gli occhi sembra di ascoltare un Bruson dei tempi d’oro, per morbidezza vocale e nobile legato. Il duetto del III atto con Luisa conferma la sua fulgida presenza vocale. Il ruolo della duchessa Federica è interpretato da Daniela Barcellona, cantante versatile, dotata di fraseggio invidiabilissimo e linea vocale florida e ricca. La Barcellona sa destreggiarsi fra le seduzioni di un amore impossibile e gli accenti di gelosia della duchessa: il duetto con Rodolfo nel I atto è fra i momenti migliori della serata. Eccellente anche la Laura di Irene Savignano, dalla voce potente.
Alla fine della recita, il pubblico applaude calorosamente gli interpreti, segno che la serata è stata gradita e che questa edizione di Luisa Miller può dirsi decisamente riuscita.