Prima la musica, poi la regia
di Irina Sorokina
Le ottime prove di Simon Lim, Mefistofele, e Marta Mari, Margherita/Elena, sono le maggiori soddisfazioni nella gradita ripresa dell'opera di Boito nei teatri emiliani. Lascia perplessi l'allestimento di Enrico Stinchelli, in cui più che tradizione sembra di riconoscere mancanza di idee, tecnica e gusto.
Modena, Teatro Comunale Pavarotti-Freni, 9 ottobre 2022 - È piuttosto ricco il cartellone del Teatro Comunale di Modena che oggi porta i nomi di due cantanti celeberrimi, entrambi simboli dell’arte vocale del Novecento, Luciano Pavarotti e Mirella Freni: tra titoli ben conosciuti e amati dal vasto pubblico come Madama Butterfly, troviamo molti davvero poco rappresentati in Italiacome il Tannhäuser wagneriano, cosa che non può che fare piacere. Ma fa piacere anche il titolo d’apertura, Mefistofele dello scapigliato per eccellenza Arrigo Boito, noto soprattutto come librettista di Otello e Falstaff verdiani, senza dimenticare i testi per Ponchielli, La Gioconda, per Catalani, La falce, per Faccio, Amleto.
Mefistofele, che una volta mieteva successi soprattutto grazie all’interpretazione del mitico basso russo Fyodor Šalyapin, non fa spesso il capolino nelle sale teatrali odierne: il cartellone modenese ha fornito al pubblico questa possibilità e la scelta è risultata soddisfacente. Mancava a Modena da ben sessantacinque anni (notiamo tra parentesi che a Pisa, la città della première, mancava dal 1972 e a Lucca non meno che dal 1936).
Il Mefistofele modenese è stato presentato come coproduzione di Fondazione Teatro Comunale di Modena e Fondazione Teatri di Piacenza, ma la vera natura dello spettacolo l’ha annunciato la locandina stessa: è discendente diretto dall’allestimento pisano del 2016 con la regia, scene e costumi di Enrico Stinchelli, di cui usa degli elementi scenici.
Proprio per questo ci è sembrato giusto a parlare prima del cast che ha riservato non poche e sempre piacevoli sorprese. Non c’è Mefistofele senza Mefistofele e al Teatro Pavarotti-Freni felicemente l’abbiamo avuto: Simon Lim, dominatore della scena dall’inizio alla fine, conquistatore delle menti e ammaliatore delle orecchie. Il cantante coreano non è, molto probabilmente, un autentico basso profondo, ma grazie all’arte d’interprete e alle doti attoriali eccellenti ha scolpito una figura che facilmente rimarrà nella memoria del pubblico. Voce sonora, ma mai pesante, tecnica ineccepibile, accento accuratamente studiato, ma soprattutto una grande padronanza di stile e un’ironia raffinata: il diavolo uscito dalla penna di Goethe e musicato da Boito è risultato affascinante e dalle molte sfaccettature.
Alla prima di venerdì, Faust è stato Antonio Poli, nella recita domenicale sostituito da Paolo Lardizzone annunciato prima nel ruolo di Wagner. L’esordio di Lardizzone non è stato dei più convincenti, il buon squillo non ha fatto perdonare del tutto una certa legnosità del timbro e la durezza dell’emissione; per fortuna, la sua interpretazione è andata in un crescendo continuo, sempre più sicura ed espressiva. Se all’inizio della recita il verdetto è stato “non abbiamo Faust”, alla sua fine è diventato “lo abbiamo”. Lardizzone ha meritato pienamente gli applausi generosi del pubblico.
Oltre alla stella di Lim, nel Mefistofele modenese è brillata un’altra stella autentica, Marta Mari nel ruolo di Margherita. Come per il Faust di Paolo Lardizzone, la sua prestazione è andata sempre meglio per arrivare a mandare gli ascoltatore quasi in paradiso. Il soprano bresciano, in possesso di voce corposa e ben timbrata, ha sfoggiato espressività profonda a tratti capace di estorcere le lacrime. Nella celebre aria “L’altra notte in fondo al mare”, il legato e i chiaroscuri sono stati perfetti e nel duetto con Faust “Lontano, lontano” i pianissimi limpidi. La Mari ha ricoperto con successo anche la parte di Elena.
Hanno convinto tutti gli altri interpreti, Eleonora Filipponi, una frizzante Marta, Vincenzo Tremante nei ruoli di Wagner e Nerèo e Shay Bloch in quel di Pantalis.
Francesco Pasqualetti alla guida dell’Orchestra Filarmonica Italiana ha diretto nel modo dignitoso la partitura tanto impegnativa vista anche la mastodontica quantità delle persone in scena compresi i due cori, il Lirico di Modena e quello del Teatro Municipale di Piacenza, preparati nel modo eccellente dal maestro Corrado Casati. Nei teatri italiani i cori spesso sono di un altissimo livello, ma nel caso del Mefistofele si è avuto il valore aggiunto, l’arte vocale ineccepibile si è unita con un’ispirazione impressionante. Un prezioso contributo è stato dato anche dalle Voci Bianche del Teatro Comunale di Modena dirette da Paolo Gattolin. Qualche problema dovuto alla disposizione della banda è stato perdonato e tra i gruppi dell’orchestra le arpiste si sono particolarmente distinte grazie al suono seducente.
La prima opera di Boito, complessa e della lunga durata, è un osso duro: per mettere in scena Mefistofele ci vogliono coraggio e talento. Questo nuovo vecchio Mefistofele al Comunale di Modena è stato generosamente applaudito, l’approvazione è andata sia ai cantanti sia al regista Enrico Stinchelli, popolare conduttore con il collega Michele Suozzo della Barcaccia, Rai Radio Tre. Stinchelli è uno show man di talento, spiritoso e brillante, ma per fare il regista dell’opera ci vuole molto di più. Abbiamo letto con attenzione le note di regia in cui dichiara che “la strada del rispetto per l’opera e per il suo autore, cercando di non stravolgere il contesto in cui l’azione si svolge e i luoghi soprattutto, impegnando lo staff creativo sul gioco di luci e proiezioni dinamiche, la tecnologia al servizio della tradizione”. Quindi, la parola chiave della messa in scena sarebbe dovuta essere tradizione, ma in realtà si è trattato di una lunga serie delle cose che si sono viste e si vedono di continuo in giro per l’Italia e altrove. Per la lunga durata dello spettacolo non c’è stata una cosa, una trovata, un dettaglio originale, fresco o ispirante. La costante presenza del sipario semi trasparente, le video proiezioni continue di Angelo Sgalambro che ci è sembrato volessero mascherare la mancanza delle idee originali, le masse dei coristi disposte spesso senza un disegno chiaro e soprattutto molte, troppe banalità per quanto riguarda gli elementi scenici e i costumi sempre di Stinchelli che rimandavano ai filmati in bianco e nero delle opere anni cinquanta-sessanta e ne diventavano quasi una parodia, come la scena popolata della domenica di Pasqua, a tratti oleografica. Non hanno aiutato certo le coreografie di Michele Merola, presenza fissa al Teatro Comunale, eseguite dai danzatori di Agora Coaching Project/MM Contemporary Dance Company, di una prevedibilità unica nel suo genere, degenerata nel ridicolo nella scena del sabba classico, dove le giovanissime ballerine messe in cerchietti praticavano dei passi primitivi. Un’altra nota dolente, la mancanza della cura dei dettagli, come la parrucca grossolana messa in testa al soprano passato dal ruolo di Margherita a quello di Elena.
Il teatro era gremito – è ben noto che alla recita domenicale arrivano tante persone di una certa età in pullman dalle cittadine vicine e non solo, i palchi, usando l’espressione puškiniana, brillavano di gente che alla fine dello spettacolo ha concesso applausi generosi. Un Mefistofele imperfetto, ma alla fine godibile.