L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

L’Alcesti di Cherkaoui

 di Stefano Ceccarelli

L’Opera di Roma porta in scena l’Alceste di Gluck sotto la direzione di Capuano e l’affascinante regia di Cherkaoui; protagonisti sono Marina Viotti, nel ruolo del titolo, e Juan Francisco Gatell in quello di Admète.

ROMA, 13 ottobre 2022 – Si può sfuggire alla morte lasciando che altri muoiano al posto nostro? Questo è il quesito alla base dell’Alcesti di Euripide, modello su cui Ranieri de Calzabigi approntò un libretto italiano, poi tradotto in francese da Gand Lebland e du Roullet per l’edizione parigina dell’Alceste di Christoph Willibald Gluck. Questa è la versione portata sulle scene del Costanzi in una coproduzione con la Bayerische Staatsoper.

La direzione è affidata a Gianluca Capuano, esperto barocchista, che sa non solo accompagnare le voci ma donare vividezza a passaggi incantevoli, come molti dei dolcissimi temi che costituiscono i ballabili del I atto; la sua direzione mette, inoltre, in evidenza la venatura funerea e malinconica che trasuda dall’intera partitura. Insomma, Capuano sa guidare gli orchestrali dell’Opera di Roma in una resa austera ma non astenica di una partitura che costituisce non solo un capolavoro, ma anche la testimonianza più matura dell’idea della riforma teatrale gluckiana.

La parte di Alceste, notevole per estensione e difficoltà, è interpretata da Marina Viotti. Dotata di musicalità e buon fraseggiare, alla Viotti manca il volume necessario per sorreggere una parte del calibro di quella di Alceste; se, certamente, la sua performance migliora nel corso della serata, a un’aria drammatica come «Divinitès du Styx», che chiude il I atto, è mancata l’opportuna energia vocale per incidere sul tessuto orchestrale e far svettare l’angoscia di Alcesti per la sua futura sorte. I momenti in cui la Viotti rende meglio sono, dunque, quelli più intimi, come i duetti con Admeto. A livello recitativo e di presenza scenica, la Viotti risulta perfettamente nella parte. Uno straordinario Admète è Juan Francisco Gatell, che si trova nelle sue acque, vocalmente parlando; il suo timbro argentino, la naturale tensione a svettare agli acuti rendono la sua performance impeccabile: dolore, rabbia, ira, tutto è ben scontornato nella resa di Gatell, che mostra un Admeto ‘anti-euripideo’ nel suo voler impedire ad Alcesti il fatale gesto (basti citare il vigore con cui canta «Tu veux mourir» e «Vivre sans toi!»). Buoni i comprimari, Luca Tittoto in particolare (Le Grand Prêtre/Hercule), che canta con piglio l’aria di Eracle; gli altri sono: Patrik Reiter (Évandre), Pietro di Bianco (Apollon), Roberto Lorenzi (Un Dieu Infernal). Altalenante la resa delle maestranze del coro del Costanzi.

L’elemento più interessante della produzione è senza dubbio la regia e coreografia di Sidi Larbi Cherkaoui. Lo scenografo Henrik Ahr crea uno spazio ieratico, cromaticamente neutro, che si presta tanto ad essere la reggia di Admeto, quanto l’antro delle divinità infernali. Tale spazio, provvisto di pannelli laterali che ricordano quelli dell’architettura giapponese, ma che qui stanno ad alludere a un’architettura sobriamente neoclassica, viene ravvivato dalla continua inventiva di Cherkaoui, che grazie al suo corpo di ballo (la compagnia Eastman di Anversa), fa letteralmente vivere le scene. I ballerini di Cherkaoui, infatti, assolvono a ogni ruolo possibile: sono il popolo di Fere, i sacerdoti, gli attendenti di Alcesti, ma, soprattutto, diventano i funambolici fantasmi, le larve che costellano l’ultimo atto dell’opera, vero coup de théâtre della produzione. Durante il III atto Alcesti si reca alla bocca degli Inferi per morire, permettendo così al marito di vivere; Cherkaoui fornisce il suo corpo di ballo di trampoli: i ballerini diventano degli spettrali funamboli, vestiti di nero e incappucciati, rappresentando come meglio non si potrebbe le anime dell’oltretomba. L’idea registica di Cherkaoui, che si basa appunto sull’uso del corpo umano quasi come strumento scenografico – si pensi alle scene in cui Alcesti viene sollevata con i teli e le viene creata una sorta di aureola intorno – è perfettamente in linea con le sperimentazioni più ardite della danza contemporanea e dell’arte registica. L’eclettismo, peraltro, la fa da padrone nelle scelte estetiche del regista, che cita persino, qua e là, il vogueing. È affascinante constatare come un’opera sperimentale come fu Alceste all’epoca della sua nascita possa essere oggi rappresentata con un linguaggio così sperimentale, senza che si perda l’atmosfera funerea e ieratica che è la sua cifra stilistica.


Vuoi sostenere L'Ape musicale?

Basta il costo di un caffé!

con un bonifico sul nostro conto

o via PayPal

 



 

 

 
 
 

Utilizziamo i cookie sul nostro sito Web. Alcuni di essi sono essenziali per il funzionamento del sito, mentre altri ci aiutano a migliorare questo sito e l'esperienza dell'utente (cookie di tracciamento). Puoi decidere tu stesso se consentire o meno i cookie. Ti preghiamo di notare che se li rifiuti, potresti non essere in grado di utilizzare tutte le funzionalità del sito.