Gradevole Gioconda
di Irina Sorokina
L'opera di Ponchielli al Teatro Filarmonico soddisfa pienamente il pubblico.
VERONA, 23 ottobre 2022 - Negli ultimi anni La Gioconda – frutto di collaborazione del binomio a un primo sguardo impossibile fra il cremonese Ponchielli e il padovano Boito, il primo un uomo calmo di provincia, il secondo una figura di spicco della Scapigliatura milanese – sembra avere una vita nuova. È apparsa al Teatro Comunale di Modena nel 2018, al Liceu di Barcellona nel 2019 con due cast, tre settimane fa al Teatro di Maribor in un nuovo allestimento della Fondazione Arena di Verona con Slovenia Theatre Maribor, Teatri di OperaLombardia e Teatro Massimo Bellini di Catania e adesso è approdata al Filarmonico di Verona per proseguire il suo cammino nei teatri lombardi. Si si va indietro nel tempo, si ricorda La Gioconda del 2005, titolo inaugurale della stagione areniana, con la partecipazione del Roberto nazionale – si tratta ovviamente del venerato ballerino scaligero Bolle. L’opera di Ponchielli è senz’altro molto bella, forse un pochino fuori moda, tuttavia sempre in grado di dare un buon pane ai cantanti – richiede ben sei voci importanti – e, perché no, suscitare la fantasia di scenografi e registi.
Nella nuova produzione queste due figure sono unite nella persona di Filippo Tonon, che insieme a Carla Galleri si è occupato anche dei costumi. Tonon non ha evitato la tentazione di trasposizione temporale: l’ambientazione veneziana è rimasta ma dal diciassettesimo secolo siamo stati catapultati all’epoca della composizione dell’opera, anni settanta dell’Ottocento. Agli occhi dello spettatore è apparsa una Venezia piuttosto cupa, con la prevalenza del color grigio dei pochi elementi architettonici in scena, segnati dalle crepe. Ma alla folla nulla ha importato del grigiore e del decadimento: essa correva e gioiva, ballava e giudicava. Filippo Tonin ha gestito bene le masse, composto dei bei quadri viventi e ottenuto la piena partecipazione del coro, delle comparse, dei ballerini: l’occhio ha gioito dall’inizio alla fine. Al contrario, una nota dolente è stata per le celeberrime Danze delle ore (scommettiamo che tutti le aspettavano), coreografate da Valerio Longo, costretto, o forse no, ad impiegare tre ballerine al posto del sontuoso corpo di ballo che ci si aspettava. La scelta, molto probabilmente, è stata dettata dal risparmio e non ha corrisposto nel modo più assoluto alla logica drammaturgica del sontuoso ballabile della Gioconda. Si è assistito, delusi se non sbalorditi, a delle movenze casuali e prive d’armonia di tre ragazze, Evgenija Koskina, Tetiana Svetlicna e Mina Radakovic.
Alla prima di domenica il dominatore delle scene è stato, senza dubbio, Angelo Veccia, che gli appassionati dell’opera hanno avuto molte occasioni di ascoltare in Arena di Verona. Quindi non la tormentata Gioconda, ma il diabolico Barnaba ha esercitato un fascino particolare su menti e su cuori dei presenti in sala. Cattivissimo ed elegantissimo, impietoso e galante, violento e sinuoso nei movimenti: è stato facile immaginare che la spia fosse solita di fare colpo sul gentil sesso. Ma sfortunatamente gli è capitata la cantatrice di strada, ossessionata da un sogno impossibile. Peccato! verrebbe da dire. Non è stata da meno la sua interpretazione vocale, il canto solido ed espressivo, la dizione chiara e l’accento variegato.
Sulla locandina all’inizio hanno figurato nomi di due soprani, della ben collaudata Maria José Siri e della giovanissima Monica Conesa che alla fine canterà in tutte le recite. Qualcuno conosceva già il soprano cubano americano, nella stagione estiva la si è potuta ascoltare in Aida, in una sola recita. Deve essere bella, la Gioconda, e la Conesa è bella, possiede un physique du rôle perfetto, sa muoversi e indossare abiti impegnativi e sfoggia una voce importante. Non è un soprano drammatico, ma un bel lirico spinto e forse, sarebbe stato meglio che la cantante non avesse sforzato troppo il suo strumento lucente, ma avesse seguito la strada che le si addice di più. In “Suicidio!” ha cercato di rendere la voce più corposa in modo artificiale, di drammatizzare troppo il registro basso: col tempo questi difetti potrebbero essere corretti e la cantante potrebbe diventare uno dei soprani lirici spinti più acclamati dei nostri giorni.
L’ idolo della cantatrice, portatore del nome altisonante di Enzo Grimaldo principe di Santafior, è stato interpretato dal tenore messinese Angelo Villari in possesso di una notevole esperienza vocale e scenica. Se gli è mancato un po’ l’autentico physique du rôle – è somigliato più ad un giovane popolano che ad un principe dei tempi della Serenissima – non sono mancate la sicurezza in scena e una certa spavalderia nel canto. La voce di tenore piuttosto chiara, solida e a tratti brillante non avrebbe rivelato dei problemi tecnici se non fosse stato per una non proprio piacevole maniera di “sparare” le note nel registro acuto. La celeberrima romanza “Cielo e mar” ha sofferto della mancanza della morbidezza della linea e della raffinatezza dei chiaroscuri, ma è stata generosamente applaudita grazie all’entusiasmo dell’artista e al buono squillo della sua voce.
Il mezzosoprano polacco Agnieszka Rehlis si è rivelata una Laura affascinante, espressiva, partecipe e una partner perfetta; la voce morbida dalla sfumatura chiara è stata sempre in armonia con quella di soprano lirico spinto di Monica Conesa. Peccato per la velocità elevata di “Stella dei marinar” che ha impedito alla cantante di svelare in pieno la bellezza del timbro.
La giovane Agostina Smimmero ha sorpreso l’ennesima volta nella parte della Cieca, si è calata con la naturalezza sorprendente nei panni della vecchia madre della Gioconda indossando un abito sobrio nero e occhiali neri che hanno nascosto il suo bel viso. La cantante napoletana ha una voce rara, da vero contralto, dal timbro scuro e dalle sfumature mielose; ha gestito nel modo eccellente il registro basso, ma ha brillato anche nei centri ed è salita senza fatica. Negli anni passati è stata sempre lei ad interpretare il ruolo della madre della Gioconda, a Modena, Barcellona e Nizza: la sua prestazione veronese ha deliziato l’orecchio e ha scosso il cuore, particolarmente nel celebre assolo “Voce di donna e d’angelo”.
Il basso Simon Lim, ascoltato alcuni giorni prima in Mefistofele boitiano, ha confermato la sua reputazione di cantante serio e raffinato, una garanzia per ogni ruolo che interpreta. Ha disegnato Alvise Badoero granitico, sobrio e impietoso, dotato di un certo carisma, ha intonato “Ombre di mia prosapia” con una profonda espressività.
Il nutrito gruppo di comprimari ha dato il suo meglio: Alessandro Abis, Zuàne, Francesco Azzolini, un cantore, Francesco Pittari, Isépo, Maurizio Pantò, un pilota, Nicolò Rigano, un barbabotto, Dario Righetti, una Voce, Jacopo Bianachini, un’altra Voce.
Al coro areniano preparato dal bravissimo Ulisse Trabacchin abbiamo riservato da sempre parole lodevoli, ma nel caso della Gioconda non è stato possibile separare le lodi musicali e l’ammirazione teatrale: non solo il canto è stato perfetto per intonazione e interpretazione, ma si è creato un perfetto equilibrio tra la prestazione musicale e la recitazione. Come sempre, è stata preziosa la collaborazione del Coro di Voci Bianche A.LI.VE. diretto da Paolo Facincani.
L’esperto Francesco Ommassini ha guidato con la mano sicura l’orchestra areniana; la sua direzione è stata sufficientemente passionale, ma nello stesso tempo ben misurata. Si è messo al servizio dei cantanti evitando decisamente le esagerazioni, ha preferito a volte i tempi leggermente dilatati e si è distinto per un buon gusto e una certa cautela. Una prestazione di tutto il rispetto, da un professionista solido: qualche scatto, qualche balzo avrebbero resa questa buona Gioconda ancora di più memorabile.
Alla fine un successo enorme, le chiamate al sipario a non finire per tutti gli artisti e tantissimi fiori: sembrava di essere al Bol’šoj di Mosca o al Mariinskij di San Pietroburgo dove la cosiddetta “mania di fiori” nata nell’epoca romantica e rivolta alle celeberrime ballerine d’epoca come Maria Taglioni e Fanny Elssler è arrivata beatamente ai nostri giorni. Un pomeriggio pieno di entusiasmo finito quasi in delirio: cosa vogliamo di più?