Notti d'oriente
di Roberta Pedrotti
Lalla-Roukh, fiaba esotica tratta da un poema dall'irlandese Thomas Moore e messa in musica dal francese Félicien David, profondo conoscitore della musica del vicino oriente, è la terza, felice, produzione del Wexford Festival Opera 2022.
Wexford, Armida, 23/10/2022 (e gli applausi)
Wexford, La Tempesta, 24/10/2022 (e gli applausi)
WEXFORD, 25 ottobre 2022 - Félicien David (1810-1876) è un personaggio singolare, affascinante. Ventenne, le sue simpatie politiche sansimoniste gli impongono di lasciare la Francia e intraprende un lungo viaggio fra la Turchia e l'Egitto; torna in patria e mette a frutto gli studi musicali intrapresi giovanissimo con le esperienze maturate in Oriente. Le sue odi sinfoniche sperimentano forme che influenzeranno Berlioz, ma anche Verdi, che di certo le ascolta e fa tesoro di alcune melodie per Aida (e non diversamente sembra fare Wagner). Non è impossibile (grazie a incisioni discografiche e a qualche programma concertistico un po' più ricercato) ascoltare lavori come Le desert e rendersi conto della loro importanza storica. Meno consueto assistere in teatro a un'opera di David, se non ci soccorressero Festival come quello di Wexford.
La magia della musica in questo caso diventa fiaba da mille e una notte, con il viaggio dalle parti di Samarcanda nella musica di un francese che l'oriente lo ha visto con i propri occhi e trae il soggetto (libretto di Michel Carré e Hippolyte Lucas) dal poema di un irlandese originario proprio di Wexford per parte di madre, Thomas Moore (1779-1852). Come David, peraltro, anche Moore non fu insensibile ai turbini politici del suo tempo, in particolare ai movimenti repubblicani d'ispirazione francese (ma che facevano del cattolicesimo una rivendicazione di autonomia e identità rispetto alla corona britannica) che nel 1798 avevano innescato una rivolta di cui proprio la contea di Wexford fu tra i centri principali. Insomma, un bell'intreccio di riferimenti che rende ancor più ghiotta e significativa la ripresa di Lalla-Roukh, opéra comique del 1862.
La vicenda è delle più semplici: la bellissima principessa deve andare in sposa al re di Samarcanda, ma durante il viaggio il suo cuore palpita per uno misterioso menestrello che, infine, si scoprirà essere proprio il sovrano, desideroso di conoscere in libertà la fidanzata e i reciproci autentici sentimenti. Tutto poi si guarnisce di danze, couplet, il romanticismo della coppia protagonista fa il paio con l'amoreggiare dell'eunuco baritono Bashkir e dell'ancella Mirza. Qualche pennellata pittoresca e topoi classici del genere, che però David tratta da par suo: il colore orientale è la sua specialità e non ha nulla di posticcio, anzi, si esprime con finezze di grande suggestione senza scadere nel cliché esotico; le pagine sentimentali sono veramente ispirate e quelle di carattere dipanate con gran gusto. Steven White sul podio ammanisce a dovere i pregi della scrittura di David, il preziosismo raffinato e mai fine a se stesso, l'ammiccare per un sorriso lieve, le atmosfere notturne. E ancora una volta ammiriamo la versatilità e la qualità di suono dell'orchestra e del coro del Festival.
Per rendere l'azione più scorrevole per un pubblico anglofono, la regista Orpha Phelan sostituisce i dialoghi parlati con una narrazione in rima affidata all'attore irlandese Lorcan Cranitch. Il suo accento è un po' ostico per i forestieri ma apprezzatissimo dai locali e in ogni caso non ci sono difficoltà di comprensione perché la sua presenza ha perfettamente senso nella drammaturgia e la trama, tanto semplice, si spiega da sé: siamo in una bakery e i clienti si accingono a fare colazione, mentre all'esterno un senzatetto fruga nella spazzatura e trova un libro con i poemi di Moore. Leggendo la storia di Lalla-Roukh ecco che gli avventori si trasformano in personaggi fantastici, in una fantasmagorica mascherata teatrale fra trampoli e gorgere (le scene e i costumi sono della bravissima Madeleine Boyd, belle anche le luci di D.M. Wood) per inscenare la romantica avventura della principessa e del re menestrello. Questi hanno i volti e le voci del soprano Gabrielle Philiponet, timbro suadente e canto ben tornito, decisa e delicata come il ruolo richiede, e del tenore Pedro Bemsch, raffinatissimo e sempre ben timbrato in tutta la tessitura e nelle mezzevoci, perfetto nei panni del cantore innamorato. Piace anche lo spiritoso Bashkir di Ben McAteer, saldo nel canto quanto agile in scena, abbinato alla non meno incisiva Mirza di Niamh O'Sullivan. Con loro le voci bass-baritonali di Emyr Wyn Jones (Bakbara) e di Thomas D Hopkinson (Kaboul) completano un cast ben assortito. Ed è un altro successo.
LALLA-ROUKH (foto Clive Barda)