La trascendenza del capolavoro
di Luigi Raso
Tristan und Isolde torna al San Carlo e, pur con un cambio di protagonista all'ultimo momento, convince appieno per la quasi totalità del cast vocale e per il bell'impianto visivo, mentre permangono perplessità su concertazione e regia.
NAPOLI, 27 ottobre 2022 - Circa una ventina d’anni fa Enzo Siciliano scrisse, sulla rubrica settimanale che curava per Il venerdì di Repubblica, un articolo nel quale sosteneva che l’opera più bella composta da Richard Wagner fosse Die Walküre,giusto perché - concludeva - Tristan und Isolde “è altra cosa” (si cita a memoria, ma il concetto era questo). Effettivamente, ogni ascolto del Tristan attesta il proprio essere un capolavoro musicale che è aliud, qualcosa di più in alto, anche rispetto all’eccelsa produzione wagneriana. Come accade davanti a Don Giovanni, Guillaume Tell e pochi altri capolavori tra capolavori, ci si ritrova proiettati in una sorta di exclave musicale, un territorio superiore ma pur sempre collegato al regno musicale di appartenenza. E questa sensazione di trovarsi al cospetto di una partitura dall’intrinseca alterità, genialità e originalità non viene incrinata neppure da un’esecuzione qualitativamente non adeguata alla caratura del capolavoro stesso.
L’ascrivibilità di Tristan und Isolde a una sfera musicale distinta dalla fascinosa galassia wagneriana si rivela anche se la concertazione di Constantin Trinks nel suo complesso prosciughi di tensione e passione l’immensa partitura wagneriana. Il Preludio all’atto I è apparso sin dalle prime battute eccessivamente estenuato, lugubre nel tratto, privo di mistero e passionalità il procedere cromatico degli archi; ma è l’intera concertazione a risultare priva di pathos, di tensione e scavo, quindi poco incisiva e interessante. Taluni affondi sonori, improvvise accelerazioni agogiche (nel Liebestod, rapido e sbrigativo) non riescono a colmare - anzi! - l’assenza del flusso di genuina drammaticità e di una visione interpretativa coinvolgente. C’è troppo poco fuoco nel sublime duetto d’amore dell’atto II, benché della passionalità il cromatismo esasperato sia monumento plastico e vigoroso; non si percepisce la desolazione esistenziale di Tristan così come dipinta da Wagner nel Preludio all’atto III (a proposito: meraviglioso la successiva nenia del corno inglese del bravissimo Andrea Marotta). Non si può dire che, al netto di qualche imprecisione, quella di Trinks sia una concertazione poco curata e corretta; ma che si priva della capacità di coinvolgere e di una cifra interpretativa identificabile certamente sì.
Il limitato scavo nella partitura e la flebile tensione emotiva conferita a Tristan und Isolde sono compensati dalla intrinseca genialità della scrittura orchestrale di Wagner e dall’affidabilità dell’Orchestra del San Carlo, dal suo elevatissimo standard tecnico che gli consente di superare a pieni voti la lettura di una delle partiture più complesse dell’intero repertorio lirico.Ma purtroppo la concertazione di Trinks non sempre assicura l’equilibrio dei volumi sonori e la coesione tra golfo mistico (si scrive pur sempre di un’opera di Wagner) e palcoscenico: troppo spesso Tristan, anche a causa del limitato spessore vocale di cui si dirà, è coperto dai marosi orchestrali wagneriani.
Benché l’apporto a Tristan und Isolde sia limitato e relegato al “fuori scena”, il Coro del San Carlo istruito da José Luis Basso, per intensità, precisione e idiomaticità rende bene il colore barbarico delle esclamazioni della ciurma.
Quanto al cast vocale, il giudizio migliora, seppur con dei distinguo.
Camilla Nylund, chiamata a sostituire con preavviso di soltanto un giorno, la prevista e indisposta Nina Stemme, è un’Isolde ben più che eccellente e convincente: voce dal bellissimo timbro, corposa, ben proiettata, con acuti luminosi e fendenti, la Nylund ha disegnato un’Isolde alla quale ha portato in dote tutti i pregi della sua iconica Marschallindi Richard Strauss. Quella della Nylund è una principessa d’Irlanda che esprime il suo dolore attraverso un canto ricco di accenti, screziato, più incline a una linea di canto melodiosa che a furiosa incisività. Tormentata e crepuscolare nell’atto I, con qualche accento incisivo in meno rispetto quelli postulati dalla scrittura di Wagner; appassionata e innamorata nell’atto II; appare, invece, eccessivamente contemplativa e distaccata nel Liebestod, anche perché non adeguatamente supportata dall’accompagnamento orchestrale.
Convince poco il Tristan di Stuart Skelton: voce non adeguatamente sostenuta e proiettata, dal ridotto peso specifico, sebbene non manchino buone intenzioni interpretative. Skelton tende a sfumare, ma troppo spesso la voce non riesce a superare adeguatamente il muro sonoro dell’orchestra. Recupera un po’ nell’atto III, ma resta il ricordo di una prova non entusiasmante.
La Brangäne di Okka von der Damerau sfodera invece un corposo e sontuoso manto vocale, una linea di canto fluida; il timbro è forse troppo chiaro, se paragonato a quello della Nylund, ma nel complesso la fusione interpretativa tra Brangäne e Isolde è assicurata.
Re Marke è il monumentale, per corredo vocale e sensibilità di interprete, René Pape: il suo è un Re che, sebbene tradito dagli affetti più cari, non perde la nobiltà del tratto. I suoi lamenti (negli atti II e III), così scolpiti per dizione e fluidi per linea di canto, delineano un Re Marke che si guadagna rispetto e compassione.
Sbrigativo, ma efficace è il Kurwenal di Brian Mulligan, dal timbro vocale poco ricco, alquanto metallico, dalla linea di canto non adeguatamente sostenuta e curata; l’interprete tuttavia è funzionale allo sviluppo drammaturgico. Nei ruoli secondari, si distinguono per precisione e professionalità Gabriele Ribis, nelle duplici vesti di Melot e Timoniere, e Klodjan Kaçani, in quelle, altrettanto duplici, del Pastore e della Voce del marinaio.
Lo spettacolo, firmato da Lluìs Pasqual, e stasera ripreso da Caroline Lang, è quello che inaugurò la Stagione Lirica 2004 – 2005. Si avvale delle meravigliose scenografie del compianto Ezio Frigerio e dei costumi, altrettanto sontuosi e ricercati, di Franca Squarciapino; scene e costumi premiati dal blasonato Premio Abbiati 2004.
Ed è proprio negli elementi visivi che è da ricercare l’essenza e il pregio dello spettacolo: i tre atti sono dominati dalla presenza del mare, magistralmente ricreato da Ezio Frigerio e impreziosito dal gioco luci di Cesare Accetta.
L’atto I, dall’ambientazione medioevale, ci mostra la prua della nave che solca il mare in rotta verso l’Inghilterra e che s’inclina nel corso della traversata; il secondo atto, ambientato nell’800, all’epoca della composizione del Tristan, ruota intorno a grandi cipressi stilizzati, che si avvicinano e si allontano così come si avvinghiano i due amanti; il terzo atto, infine, di ambientazione contemporanea, ci mostra una asettica stanza da ospedale, sul cui sfondo luccica il mare: Tristan è un malato psichico che rievoca il suo amore per Isolde invocandone il ritorno.
Il disegno registico è debole: non emerge, al di là del suggestivo riferimento alla malattia mentale di Tristan, la reale volontà di indagare i meandri di un testo fondamentale per lo sviluppo della cultura - musicale e non solo - europea. In questa ripresa, poi, i movimenti dei protagonisti appaiono ridotti al minimo sindacale: Stuart Skelton (Tristan) è impacciato e per gran parte del tempo immobile in scena, Camilla Nylund (Isolde) - ma a lei è da riconoscere la prevalenza dell’attenuante di esser stata chiamata a sostituire all’ultimo momento la collega ammalata - ha gestualità stereotipata, così come gli altri componenti del cast.
Dello spettacolo resta il ricordo - ancora vivo dopo quasi diciotto anni, seppur riacceso dalla ripresa del 2015 - dell’impatto visivo delle scenografie e della cura nel confezionamento dei costumi ad opera della coppia, artistica e nella vita, di Ezio Frigerio e Franca Squarciapino.
Si gioisce per il teatro affollato di pubblico attento per un’opera che, intervalli inclusi, supera abbondantemente le quattro ore di durata; al termine, applausi prolungati per tutti.
In chiusura, si ricorda che per la rappresentazione di domenica 30 ottobre, persistendo l’indisposizione di Nina Stemme, è stata annunciata l’Isolde di Catherine Foster. In bocca al lupo!