Nell’Eden di Berlioz
Pregevole apertura di stagione per il Teatro Carlo Felice di Genova: se l’elegante bacchetta di Donato Renzetti e il cast ben amalgamato assicurano un’ottima resa musicale, la prima esecuzione italiana di Béatrice et Bénédict di Berlioz trova il suo punto di forza nello splendido spettacolo firmato da Damiano Michieletto.
Genova, 30 ottobre 2022 – Béatrice et Bénédict, terza e ultima fatica teatrale di Berlioz, è un’opera tanto raffinita nella scrittura musicale quanto fiacca sotto il profilo drammaturgico. Tratta, con non pochi arbitri, dalla commedia di Shakespeare Much Ado about Nothing (Molto rumore per nulla), ruota sostanzialmente intorno a due storie d’amore, quella romantica tra Héro e Claudio e quella pepata di Béatrice e Bénédict. Niente di più e niente, francamente, di più noioso. Al Carlo Felice di Genova, tuttavia, a Béatrice et Bénédict, dove per l’inaugurazione di stagione il titolo approda in prima esecuzione italiana, è riservata una sorte ben più rosea di quanto immaginabile dalla premessa.
Riflettendo sul personaggio di Somarone, il cinico maestro di cappella – introdotto nella vicenda dal compositore stesso – incaricato di comporre musica per le nozze di Héro e Claudio, Damiano Michieletto legge nel soggetto di Shakespeare-Berlioz un dibattito sui diversi modi di concepire l’amore: quello tradizionale, ossequioso, socialmente utile, e quello impulsivo, viscerale, che rifugge regole e convenzioni e che smette di esistere proprio là dove la prima scuola di pensiero si impone di suggellarlo. Così Somarone, una sorta di Don Alfonsosenza velleità formative, da personaggio secondario si trasforma in presenza costante nella narrazione, intento com’è a registrare tutto e tutti mentre sul palcoscenico si tenta, alla fine invano, di relegare l’amore libero e privo di schemi – rappresentato in scena da Adamo ed Eva ignudi come Dio l’ha fatti – entro quelle teche di cristallo in cui gran parte della comunità circostante preferisce esporsi. Ecco, se da un lato rimane qualche dubbio circa l’aderenza della messinscena e l’originalità dell’idea che a tratti pare addirittura una questione superata – anche se, ora come ora, non ci metteremmo la mano sul fuoco –, sulla necessità e sulla validità dell’operazione non ve n’è alcuno. Qualcuno dirà che Michieletto ha stravolto Berlioz. No, Michieletto gli ha dato una mano, confezionando uno spettacolo – con scene di Paolo Fantin, costumi di Agostino Cavalca e coreografia di Chiara Vecchi – magnifico nella realizzazione, privo di retorica seppur ricco di segni e simboli evidenti, in cui la chiarezza d’esposizione non fa mai a pugni con la teatralità del linguaggio adoperato. Sull’efficacia di alcuni colpi di scena, sul bagliore di taluni colpi di genio durante il racconto – che poi definiscono buona parte del perimetro in cui la caratura del regista va misurata – non si dirà nulla perché il tutto ha senso solo nella sua interezza. Potrà, al massimo, non piacere la lettura, che nel complesso smorza i toni bonari della commedia, ma la maestria nella costruzione della regia è innegabile.
Maestria parimenti ravvisata in buca, dove l’inossidabile Donato Renzetti dirige i complessi del Teatro Carlo Felice con la consueta raffinatezza espressiva. Morbido e variegato fin dall’ouverture, Renzetti conferisce alla partitura di Berlioz un carattere mutevole, ora soave e idilliaco, ora graffiante e sensuale, garantendo ovunque una brillantezza nei colori, nei timbri e nel fraseggio che ben valorizza le qualità di una scrittura cesellata e ricca di invenzioni.
Il parterre vocale è splendidamente assortito. Cecilia Molinari, nel ruolo di Béatrice, si conferma vocalista di rango e interprete di prim’ordine, qualità ampiamente sfogate nell’intensa aria del secondo atto. Benedetta Torre, dotata di voce morbida e luminosa, ben incarna la purezza di Héro e si disimpegna con onore nella difficile «Je fais le voir!». Julien Behr, al netto di qualche opacità in acuto, è un Bénédict coinvolgente; Nicola Ulivieri un Don Pedro di lusso. Molto valido il resto del cast – Yoann Dubruque (Claudio), Eve-Maud Hubeaux (Ursule), Ivan Thirion (Somarone) – e la compagine di mimi e attori impegnati nella creazione dello spettacolo. Positiva, infine, la prova vocale e attoriale del Coro del Teatro Carlo Felice, istruito dal maestro Claudio Marino Moretti.
Il pubblico, inizialmente disorientato, tributa alla fine i meritati consensi per quest’occasione, in definitiva, che non andrebbe persa.