L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Requiem ad Atlantide

di Giuseppe Guggino

Il Massimo di Palermo inaugura la propria stagione d’opera e di concerti con una fusione del Requiem di Mozart all’interno del Kaiser von Atlantis di Viktor Ullmann per la regia di Marco Gandini e la direzione di Omer Meir Wellber.

Palermo, 8 novembre 2022. Anomala inaugurazione di un altrettanto anomala stagione - nominalmente estesa per più di dodici mesi e riportata a cavallo fra due anni - quella che Omer Meir Wellber vara al Massimo di Palermo, fondendo in uno lavori quanto mai distanti per tipologia e orizzonti stilistici quali sono il sacro Requiem di Mozart e Der Kaiser von Atlantis, opera in un atto di Viktor Ullmann su libretto Peter Kien. Sarà forse l’audacia dell’accostamento o, per meglio dire, della compenetrazione ad aver indotto a circoscrivere l’esperimento a sole due recite, rispettivamente per il turno prime della stagione d’opera e per la stagione dei concerti, mentre gli altri turni della stagione d’opera avranno la loro inaugurazione con una più rassicurante Traviata di magazzino, programmata solamente per gennaio, ma tant’è.

L’opera breve di Ullmann – che ritorna nella sala del Basile a distanza di vent’anni, anche allora proposta solamente per non più di un paio di recite con la regia di Roberto Andò – è stavolta affidata a Marco Gandini che, a capo di un ben nutrito drappello di collaboratori (scena di Gabriele Moreschi e costumi di Johann Stegmeier), fa un cospicuo ricorso a luci laser e videoproiezioni (affidate a Francesco Vignati, Virginio Levrio e Filippo Scortichini) talvolta suggestive, talaltra distraenti.

Il plot fortemente allusivo e satirico, vede il personaggio allegorico della Morte (l’ottimo basso Grigory Shkarupa) rifiutarsi di mietere ulteriori vittime nel corso di una guerra totale, fintanto che il Kaiser (un molto ben calibrato Markus Werba), sfiancato dallo stallo determinatosi, acconsente ad essere la sua nuova prima vittima. L’opera, articolata per quadri episodici – fra cui c’è posto anche per l’innamoramento di un soldato (il bel timbro tenorile di Antonio Gares) per Bubikopf (una precisa Lavinia Bini), ragazza dello schieramento opposto – si presta drammaturgicamente all’inserimento delle sezioni del Requiem, che sembrano assurgere alla funzione drammaturgica del coro nella tragedia classica. I quadri sono così diluiti senza che il filo teatrale perda di tensione, o perda di drammaticità, procedendo anzi più soppesato.

Dal punto di vista strettamente musicale, invece, l’idea di fondere in un testo già di per sé stilisticamente molto eterogeneo – che guarda tanto a Schönberg quanto a Kurt Weill – ulteriori elementi di straniamento risulta complessivamente meno convincente, sebbene l’incastonare il finale fra il Recordare e il Lacrymosa sia d’effetto veramente assai potente.

A completare la distribuzione, piuttosto omogenea negli esiti, sono l’Arlecchino di Cameron Becker, Julia Rutigliano quale Tamburino e la voce dell’altoparlante di Karl Huml.

Ottimo il Coro, preparato da Salvatore Punturo, che nelle pagine mozartiane sopravanza di nero vestito dal fondo nero in una gestione dalla cifra sostanzialmente oratoriale. Convincenti anche le interpunzioni coreografiche affidate al Corpo di ballo del Massimo (coreografie di Marco Berriel e Jean-Sébastien Colau, con una menzione per la ieratica personificazione della Morte di Vito Bortone). E molto positiva anche la prova dell’Orchestra, che dà prova di grande eclettismo transitando da Ullmann a Mozart e viceversa sotto la guida appassionata di Wellber, mattatore della serata, salutato dal più caloroso dei consensi agli applausi finali.


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