Approdo felice
Felice inaugurazione wagneriana per la prima stagione del Comunale di Bologna in trasferta per i lavori nella sala del Bibiena. La direttrice musicale Oksana Lyniv sale sul podio per un suo cavallo di battaglia, Der fliegende Holländer con due compagnie ben assortite e uno spettacolo che fa saggiamente i conti con il palcoscenico dell'EuropAuditorium.
BOLOGNA, 28 e 29 gennaio 2023 - Dopo l'anteprima con Mirandolina, con Der fliegende Holländer la stagione del Comunale di Bologna ha la sua inaugurazione vera e propria e fa il suo debutto ufficiale (dopo lo sciopero che aveva accidentato La traviata) con una première in trasferta. I lavori che interesseranno la sala del Bibiena per i prossimi anni – fastidio assai diffuso quest'anno in Italia, da Napoli a Pesaro – ci porteranno poi in un'altra nuova struttura, sempre in zona Fiera, ma bisogna ammettere che l'EuropAuditorium ha svolto bene la sua funzione di supplente. Gli spazi comuni sono ampi e ben distribuiti, sicché pare non ci sia occasione di ingorghi, code o assembramenti né per i bagni, né per i guardaroba o i bar. La grande platea degradante offre a tutti una buona visuale, l'acustica è più che accettabile. L'opera si può godere, perlomeno dal punto di vista del pubblico. Il palco poco profondo e le risorse tecniche daranno qualche patema in più dietro le quinte, dove non si avrà la stessa libertà di progettazione e manovra. Il regista Paul Curran affronta la questione con sicuro mestiere e sfrutta al massimo la struttura di Robert Innes Hopkins (anche costumista) per vestirla delle luci di Daniele Naldi e, soprattutto, dei video di Driscoll Otto. Nel primo atto il palco è completamente inghiottito dai flutti, che riappariranno poi, placidi o tempestosi, nel terzo. Un laboratorio tessile e di sartoria per l'abitazione di Daland, un porto industriale per la festa. Questi gli ambienti concreti. Poi, abbiamo il ritratto dell'Olandese assimilato al Viandante sul mare di nebbia di Friedrich (si dirà che è un accostamento poco originale? Di certo è pertinente), varie elaborazioni che possono di volta in volta convincere più o meno (il teschio infuocato, il frenetico accavallarsi di fotogrammi horror nel canto degli spettri in risposta ai marinai festanti), ma non incrinano la solida riuscita e la coerenza dello spettacolo.
Spettacolo giustamente atteso, perché se il vascello fantasma non approdava a Bologna da dieci anni – nemmeno troppi – finalmente la stagione si apre con la nuova direttrice musicale, il suo repertorio e titolo d'elezione, lo stesso che l'ha vista due volte sul podio di Bayreuth. E Oksana Lyniv non delude, anzi, ci offre il meglio di sé in una lettura coerente, riconoscibile e pur capace di ricalibrarsi di sera in sera. Alla prima l'attacco della sinfonia ci fa letteralmente sobbalzare sulla poltrona per un fragore travolgente che, poi, sarà modulato con saggezza nel corso dell'opera, mentre alla seconda (quando anche tutta l'orchestra sembra in forma migliore) la propulsione iniziale ci pare meno irruente ma non inferiore per efficacia. Anzi, dall'apparire così nitido e tornito del tema dei fiati si apre un'accesa dialettica di forze diverse di pari energia. I contrasti procedono ora per giustapposizioni ora per dialettiche compenetrazioni e la padronanza tecnica, la conoscenza approfondita del testo è la base di una teatralità profonda, prova di comodi effetti. Tutta la scena corale che apre il terzo atto è sviluppata con un crescendo magistrale, dalla gaiezza giocosa della festa popolare all'insinuarsi inquieto del sovrannaturale fino a un intreccio spasmodico di terrore, a un parossismo di cui la bacchetta non perde mai il controllo, facendo bensì emergere tutte le diverse voci. Né si può tacere della fluidità con cui dà corpo, poi, ai momenti più intimi e dolci, all'incanto rarefatto ma non diafano, agli elementi di commedia che caratterizzano spesso la scrittura di Daland. E una menzione d'onore vogliamo darla proprio al Daland della prima compagnia, Peter Rose, che da esperto Ochs qual è dosa la mimica, il gesto, l'accento con un'umana bonomia a tratti comica ma mai caricaturale. Dopotutto, il papà imprenditore borghese che sceglie avventatamente un marito ricchissimo e misterioso per l'adorata figlioletta, premurandosi però di avere il suo consenso, è di per sé un personaggio che potrebbe star benissimo in un'opera buffa e ricordarlo senza calcar troppo la mano serve anche a definire la distanza fra la dimensione terrena e quotidiana e quella, invece, spirituale ed epica del dramma. Goran Jurić, il 29 gennaio, fa pure assai bene, ma con una personalità meno pregnante.
Incisivo, carismatico, potente e tormentato, non privo di fascino e chiaroscuri è l'Holländer di Thomas Johannes Mayer, che al physique du rôle aggiunge sapienza d'interprete e autorevolezza vocale. Bravo anche il suo doppio, Anton Keremidtchiev, seppur non altrettanto presente e timbrato in tutta la tessitura e in tutte le gradazioni dinamiche. Meno convincenti i due interpreti di Erik, che non vengono a capo di una parte che richiede, sì, spessori da heldentenor in nuce, ma anche legato cantabile di schietta matrice belcantista. Sia Adam Smith (28 gennaio), sia Alexander Schulz (29 gennaio) hanno buon potenziale, ma la linea non è sufficientemente salda e se Smith punta su un'espressività che può risultare talora e nell'emissione sopra le righe, Schulz appare più misurato ma spesso precario. Sul piano tenorile è, allora, facile emergere per Paolo Antognetti, che presta allo Steuermann una proiezione squillante e un buon canto all'italiana in entrambe le recite. Costante e gradita anche la presenza di Marina Ogii, ottima Mary.
E poi c'è Senta, la chiave di tutto, il femminino che salva con il sacrificio elevato all'ennesima potenza dell'immaginario ottocentesco; una piccola Bovary (fanciulla cresciuta fra ideali romantici in cui si rifugia in una realtà borghese con padre imprenditore e fidanzatino concreto e geloso) che riesce a immergersi fino in fondo nella leggenda a cui aspira. Elisabet Strid (28 gennaio) ha una vocalità luminosa, chiara, facile all'acuto, che ben si presta all'anelito ideale e adolescenziale del personaggio, a esprimerne anche le celate fragilità; Sonja Šarić (29 gennaio) ne mostra un altro volto non meno convincente, cantando con morbida finezza, bel legato, un palpito che sa d'ingenuità, ma è deciso e vibrante. Tutti si muovono in piena sintonia con il podio, che dalla buca solleva sonorità avvolgenti e mai soverchianti; l'orchestra offre una prova in crescendo fra le due recite e il coro preparato da Gea Garatti Ansini (cui si aggiungono, come spettri, gli elementi della compagine del Municipale piacentino guidata da Corrado Casati) si mette in luce in tutti i suoi fondamentali interventi.
Alla prima registriamo senza comprenderne la ragione un paio di bu all'indirizzo della direttrice e qualcuno in più – pure ingeneroso – per Curran e i suoi collaboratori. Si è trattato di uno spettacolo più che riuscito, una bella inaugurazione con alcuni vertici degni di nota e debitamente festeggiati dal pubblico. Poi, a partire dalla Butterfly prevista nella nuova fede, seguiremo le sorti dei pellegrinaggi del Comunale; per ora, diluiti in spazi più ampi anche gli sfoggi di paillettes, mondanità, critici d'arte politici (alla prima, pubblico rumorosetto anzichenò in “zona vip”), ci godiamo l'opera e anche la coccola degli omaggi offerti a tutto il pubblico: mentine (senza carte crepitanti) e cioccolatini firmati “Olandese Volante” donati rispettivamente da Hera e Majani.