I capricci della sorte
di Luigi Raso
Al Teatro Politeama Giacosa di Napoli per la stagione del Teatro di San Carlo va in scena, in forma oratoriale, Macbeth, che mancava dal cartellone del Massimo partenopeo da un quarto di secolo. Il destino ha in serbo, però, qualche scherzo: Luca Salsi combatte per tutta la serata con un'indisposizione dando prova di grande padronanza artistica; Daniela Schillaci sostituisce Sondra Radvanovsky, assente per motivi di salute. Incalzante ma non illuminante la direzione di Marco Armiliato.
NAPOLI, 9 marzo 2023 - Mancava da ben venticinque anni Macbeth al Teatro San Carlo: un lasso temporale estremamente ampio per un’opera che da settant'anni - dalla mitica riproposizione scaligera del 7 dicembre del 1952, con la straordinaria Maria Callas e la direzione altrettanto leggendaria di Victor de Sabata - ha riconquistato il giusto ruolo nella migliore e più innovativa produzione verdiana.
La lunga assenza dalle scene e la presenza nei ruoli dei protagonisti di nomi riconducibili dell’odierno star system lirico hanno caricato l’attesa di molte aspettative, malgrado la rappresentazione dell’opera in forma di concerto al Teatro Politeama, dove - per il restauro della storica sala, ad oggi in via di ultimazione - dallo scorso gennaio sono state trasferite tutte le attività artistiche del San Carlo. Ma a pochi giorni dalla première queste aspettative si son dovute scontrare con gli scherzi del destino: il 6 marzo è stato annunciato che Sondra Radvanovsky, a causa di un’indisposizione, non sosterrà la parte di Lady Macbeth alla prima del 9 marzo; al suo posto Daniela Schillaci, chiamata, poi, a sostituire la Radvanovsky anche per la replica del giorno 12. Al debutto dell’opera, inoltre, sin dall’ingresso in scena Luca Salsi accusa un’evidente e insistente tosse che fa annunciare al Teatro, dopo l’unico intervallo, l’insorgere di una fastidiosa bronchite, ringraziando il baritono per garantire la prosecuzione dello spettacolo. Luca Salsi porta a termine - più che dignitosamente, come vedremo - la rappresentazione, ma sarà sostituito per la replica del 12 marzo da George Gagnidze. Insomma, cast stravolto, almeno per i ruoli principali.
In questi marosi della sorte, la responsabilità musicale dello spettacolo è affidata a Marco Armiliato, che sa ben tenere le fila dell’opera. Direzione spedita, con tempi coerenti tra loro e, in particolar modo, con la bruciante rapidità e concisione drammaturgica di Macbeth, assicura equilibrio tra orchestra e canto. Era però legittimo aspettarsi dall'esperienza di Marco Armiliato un maggiore scavo nelle pieghe della partitura, in modo da far risplendere al meglio le soluzioni armoniche e strumentali che connotano la partitura verdiana. C’è tenuta drammatica, nella concertazione di Armiliato; manca, però, altro.
La rappresentazione in forma di concerto elimina il ballo dell’atto III, ma resta incomprensibile che, per questo motivo, sia tagliata anche la musica dei meravigliosi ballabili, che l’Orchestra del San Carlo, nella consueta ottima forma, avrebbe brillantemente eseguito.
Ben più che eccellente, infatti, è la prova dell’orchestra, che si esprime con precisione e omogeneità in una articolazione musicale suddivisa tra la distesa cantabilità delle frasi del preludio all’atto I, della scena del sonnambulismo, la concitazione della battaglia finale, il procedere corrusco del banchetto dell’atto II. A brillare è anche l’altra compagine del Teatro di San Carlo: il Coro, diretto da José Luis Basso, conferma l’eccellente livello artistico raggiunto e la versatilità acquisita. Nel passaggio dai colori de La damnation de Faust di Berlioz (qui la recensione) all’incisività e drammaticità di Macbeth, il Coro sancarliano sfoggia colori, accenti e idiomaticità che donano agli ampi interventi corali momenti di intensa emozione: calibrati e demoniaci quelli delle streghe, oracoli che preannunciano e determinano il destino della coppia divorata dalla brama di potere; sofferente “Patria oppressa”, laddove Giuseppe Verdi sale in cattedra e ci mostra come si piange per tutti. Sono i crescendo interni a questo struggente lamento, con il suo procedere ansimante, a rappresentare il momento più denso di emozioni in una serata che per il resto ne è, invero, avara.
In ordine di locandina, Luca Salsi nei panni di Macbeth, come anticipato, lotta da subito contro una fastidiosa tosse: il baritono italiano è estremamente professionale nel gestire l’inconveniente, riuscendo a portare a termine una prova qualitativamente ben più che dignitosa. L’indisposizione, sempre più evidente nel procedere della recita, gli impone di rinunciare a vari acuti (intonati un’ottava sotto) e a barcamenarsi per tener saldo il timone della linea di canto. Però ciò che gli accessi di tosse non incrinano è la capacità di Luca Salsi di far risuonare la “parola scenica”, quel dare peso, forma e suono alle parole di Francesco Maria Piave intonate con gli accenti e colori pretesi da Giuseppe Verdi. Se la caratura dell’artista si nota principalmente nei momenti di evidente e persistente difficoltà vocale, Luca Salsi questa sera ha fornito un saggio di come affrontarle e gestirle in scena.
L’augurio è di riprendersi al più presto e di tornare ad interpretare Macbeth ristabilito in salute e in piena forma vocale.
Alquanto generico negli accenti e nel fraseggio è Alexander Vinogradov nei panni di Banco: voce ampia, ma talvolta ingolata, la sua prova si attesta a un accettabile livello di correttezza.
A Daniela Schillaci va riconosciuto innanzitutto il merito di aver sostituito la prevista Sondra Radvanovsky in una parte che, solo a sfogliare la partitura, fa tremare le vene e i polsi ad ogni soprano. Tuttavia, Lady Macbeth si dimostra ben poco consona alla vocalità della Schillaci: si avverte, sin dalla difficilissima cavatina d’esordio (“Vieni! t'affretta”), una costante e innaturale forzatura dell’emissione, gonfiata nel registro centrale e forzata in quello acuto, con note gravi prive della necessaria polpa sonora. Le note ci sono tutte, le agilità risultano nel complesso pulite, la Schillaci si dimostra eccellente e lodevole professionista, ma, malgrado i notevoli e lussuosi mezzi vocali, a mancare sono un originario e adeguato spessore vocale, il colore, gli accenti e la personalità diabolica di Lady Macbeth. Per lei Verdi richiedeva una voce “brutta, aspra, diabolica”: quella della Schillaci tutto è tranne che brutta e aspra.
Sconta l’esiguità dello spessore vocale l’interpretazione di Giulio Pelligra come Macduff: in Macbeth Verdi si dimostra avaro nei confronti del tenore, ma gli assegna una delle arie più intense dell’intero repertorio. L’aspettativa del pubblico per il tenore è catalizzata dal recitativo e aria “O figli, o figli miei... Ah, la paterna mano”,che Giulio Pelligra affronta con linea di canto non sempre a fuoco.
Nei ruoli secondari merita una menzione l’efficace Dama di Lady Macbeth di Chiara Polese, allieva dell’Accademia Teatro di San Carlo, che si distingue per squillo, omogeneità e padronanza vocale.
A dar decoro allo spettacolo contribuiscono gli interventi di Malcom di Francesco Castoro, del Medico di Luciano Leoni, del Sicario di Takaki Kurihara – anche lui allievo dell’Accademia Teatro di San Carlo –, del Domestico di Macbeth di Giuseppe Todisco, dell’Araldo di Antonio De Lisio, delle Tre apparizioni di Giacomo Mercaldo, Valeria Attianese, Maria Antonella Navarra, questi ultimi cinque ruoli sostenuti da artisti del Coro.
Alla fine, applausi calorosi per tutti, derivanti anche dalle attestazioni di stima per Daniela Schillaci e Lusa Salsi i quali, malgrado i capricci della sorte, hanno consentito di portare a termine la première di Macbeth, ultima opera in programma al Teatro Politeama: dal 6 aprile, con il recital del soprano Pretty Yende, il San Carlo tornerà finalmente nella sua meravigliosa sala restaurata; per l’opera l’appuntamento è rimandato di pochi giorni: dal 16 aprile andrà in scena Die Walküre.