Ritorno del classico
di Irina Sorokina
Esito non univoco per la ripresa dello storico Nabucco areniano con la regia di Gianfranco De Bosio e la direzione di Daniel Oren. Si apprezzano soprattutto le prove di Amartuvshin Enkhbat e Alexander Vinogradov, mentre desta qualche perplessità il resto della compagnia.
Verona, 15 luglio 2023 - Come Aida, frutto della maturità verdiana, Nabucco, l'opera che gli portò il primo solido successo, si considera titolo autenticamente “areniano” e non sparisce quasi mai dal cartellone del celebre festival veronese. Negli ultimi anni si sono avute le occasioni di assistere a versioni sceniche diverse tra cui senza dubbio emerge del 2000 firmata da Hugo De Ana, ma non si dimentica l’allestimento poco ortodosso e affascinante di Arnaud Bernard del 2017 col trasferimento della faccenda antica nei tempi delle Cinque Giornate di Milano.
Nell’anno del centenario si è andati cauti optando per il Nabucco sufficientemente spettacolare, ma senza sorprese, firmato da Gianfranco De Bosio, storica figura del festival veronese. Al giorno d’oggi, la sua messa in scena di Nabucco viene considerata storica e ne ha pieno diritto: lo spettacolo nato nel 1991 fu ripreso nel 1992, 1994, 1996, riscuotendo sempre successo di pubblico. Ritornò anche nel 1998, l’anno della scomparsa dell’architetto e direttore degli allestimenti areniani Rinaldo Olivieri, poi le scenografie caddero vittima di un incendio che scoppiò nel deposito che le ospitava e, se abbiamo ancora possibilità di fare un tuffo nel passato, lo dobbiamo ad Angelo Finamore, assistente dello scenografo veronese che conservò tutti i suoi materiali e i bozzetti. Quanto alla conservazione dei costumi dai colori sgargianti che portano la firma di Pasquale Grossi, il merito va alla ditta milanese Fiore che se ne prese cura per ben tredici anni: fecero la loro bella figura quando il Nabucco di De Bosio-Olivieri calcò di nuovo il palcoscenico areniano nel 2011.
Ieri sera abbiamo avuto la possibilità di entrare nelle stesse acque, rivedere la storica messa in scena veronese di De Bosio-Olivieri che sembra non aver perso il proprio fascino. Abbiamo rivisto una spettacolare torre di Babele ispirata dal quadro di Breugel e ci siamo tuffati per l’ennesima volta nel genere di kolossal, perché il vecchio Nabucco lo è a pieno titolo. Impiega uno spazio grandioso, prevede la partecipazione delle masse di coristi e figuranti capaci di muoversi con l'ordine di un corpo di ballo, il vapore che lentamente accarezza il palcoscenico, le fiaccole ardenti e i fulmini. De Bosio conosceva perfettamente gli enormi spazi areniani capaci di creare non pochi pericoli per i registi e seppe gestire bene la quantità stratosferica degli artisti in scena. Guidava con una grande maestria un grande esercito degli artisti, ma non seppe evitare il problema di riduzione della messa in scena ad una serie di tableux vivant, un fatto che gli si perdona facilmente visto che la terza fatica operistica di Verdi è imparentata col genere di oratorio e soffre di staticità.
Pur ammettendo il valore della storica messa in scena di Nabucco firmata dal tandem entrato ormai nella storia, abbiamo dovuto ammettere che la recita ha fatto una fatica enorme a decollare o, se si vuole la verità, non è mai decollata. In una serata di caldo torrido, l’azione si è svolta con fatica, come al rallentatore, senza dimostrare sufficiente linfa vitale e senza regalare le emozioni che sicuramente il pubblico si aspettava: peccato davvero.
Nella battaglia vocale le signore purtroppo hanno perso a favore degli uomini: i dominatori della calda serata sono stati Amartuvshin Enkhbat e Alexander Vinogradov, nei rispettivi panni di Nabucco e Zaccaria. Fiumi di inchiostro e di parole si spendono ogni volta che si parla del baritono mongolo, un vero fenomeno vocale venute dalla steppa dell’Asia Centrale che in molti non possono nemmeno immaginare. Per un’ennesima volta abbiamo ascoltato con piacere la sua voce dal timbro bello, virile, equilibrata, pulita e rafforzata da un’ottima tecnica. Negli ultimi anni se si dice “Nabucco” si pensa “Amartuvshin Enkhbat” e la ripresa veronese dell’opera del giovane Verdi l’ha confermato.
La prima frase di Alexander Vinogradov nel ruolo di Zaccaria ha fatto sorgere qualche dubbio riguardo la capacità della sua voce di riempire lo spazio areniano. Un dubbio che però è durato per un attimo; non soltanto lo spazio enorme sotto il cielo aperto è stato riempito, ma l’orecchio è rimasto attento al canto che volava libero, al fraseggio ben pensato, alla dizione nitida. Il cantante relativamente giovane ha saputo cogliere l’anima del profeta ebraico, dignitoso e ieratico negli assoli e molto espressivo nei recitativi.
Il complesso personaggio di Abigaille purtroppo non ha trovato nel soprano Maria José Siri l’interprete adeguata. Siamo più abituati ad ascoltarla nei ruoli come Manon Lescaut, Butterfly, Tosca, Santuzza, Maddalena; l’usurpatrice babilonese pure fa parte del suo repertorio, purtroppo, però, la recita di ieri sera ha dimostrato che la scrittura impervia del giovane Verdi non le è del tutto consona. La voce poteva vantare volume, ma perdeva il colore e i registri sono risultati disomogenei; evidentemente, questo tipo di “belcanto” non è del tutto nelle sue corde.
Matteo Mezzaro debuttava nella parte d’Ismaele, dimostrando tanta buona volontà, bel timbro e capacità di stare in scena; purtroppo, la voce, sicura nei centri, salendo cambiava colore e risultava affaticata e non proprio gradevole. Speriamo che nel futuro il tenore possa superare ogni difficoltà.
José Maria Lo Monaco ha disegnato il personaggio di Fenena con efficienza e Gianfranco Montresor (il Gran Sacerdote di Belo), Riccardo Rados (Abdallo) ed Elisabetta Zizzo (Anna) hanno completato il cast dignitosamente.
Daniel Oren alla guida dei complessi areniani non ha potuto certo deludere, ha fornito come al solito una lettura energica, segnata da una grande precisione e le dinamiche forti. Il magnifico coro areniano preparato da Roberto Gabbiani, come al solito, ha fatto un regalo inestimabile al pubblico con l’interpretazione di “Va’ pensiero sull’ali dorate” che è stato bissato come accadeva quasi sempre nel passato.
Si aspettava forse qualcosa di più dalla ripresa del Nabucco storico e già classico (un grande complimento al lavoro di De Bosio e Olivieri). Si spera nelle recite successive.