Difficile, magnifico, eloquente
di Irina Sorokina
Pertusi, Pirozzi, Pretti, Romano, Petti sono i protagonisti entusiasmanti della produzione di Don Carlo dei teatri emiliani, applaudita con fervore al Comunale Pavarotti Freni di Modena
Modena, 5 novembre 2023 - Il pubblico non viene viziato spesso dall’apparizione in scena del Don Carlo verdiano, un’opera profonda e non di facile ascolto, scritta sulla commissione dell’Opéra di Parigi e quindi chiaramente legata al genere del grand-opéra francese, impegnativo sul piano musicale e teatrale. I muri del Teatro Comunale Pavarotti Freni di Modena videro il capolavoro verdiano nella stagione lirica 2012/13 , nelle celebrazioni del bicentenario del maestro bussetano. Oggi l’allestimento viene riproposto di nuovo nella versione cosiddetta “Milano” in quattro atti che andò in scena nel 1884: ai conoscitori e agli amanti di questa creazione verdiana d’eccezionale bellezza mancherà l’atto di Fontainebleau, ma ci si può rassegnare.
L’ allestimento di stampo tradizionale, con le scene e costumi di Alessandro Ciammarughi si segnala per la bellezza che cattura l’occhio e lo tiene avvinto per tutta la durata, piuttosto lunga, dello spettacolo. Un’opera grandiosa come Don Carlo necessita un grande impegno da parte dello scenografo e del costumista e questa necessità trova in Ciammarughi una figura giusta. È lui il vero autore di un allestimento grandioso, suggestivo, che affascina nelle forme e nei colori ,mentre è debole la regia firmata da Joseph Franconi Lee in collaborazione con Daniela Zedda, che sembra si limiti a indicare ad ogni cantante il proprio posto sul palco e manovrare in qualche modo il coro spesso costretto a delle processioni. Suggestivo il disegno di luci di Claudio Schmid.
Le due recite al Teatro Comunale Pavarotti Freni di Modena sono “onorate” dalla presenza di un cast eccezionale, che pare assortito secondo i sogni degli amanti della musica. La compagnia è capitanata dal basso Michele Pertusi che da tempo ormai viene definito “grande”, ma nel Don Carlo modenese supera sé stesso. Coglie il personaggio di Filippo in tutta la profondità e la ricchezza psicologica, disegna un re che soffre sotto il peso della grande politica e dei problemi all’interno della famiglia, tutto questo senza mai perdere una toccante umanità, a volte ben nascosta, e sa colorare la voce dalle sfumature più ricche, calde e fredde, graffianti e carezzevoli. Inizia “Ella giammai m’amò” con abbandono struggente, voce quasi soffocata e provoca applausi lunghi e generosi che sanno di catarsi.
Anna Pirozzi nel ruolo d’Elisabetta spalleggia ottimamente un interprete di una tale caratura, avvantaggiata dalla voce sana, salda e potente, ma non per questo poco espressiva. Conoscevamo questa vocalità e il forte temperamento drammatico della cantante, qualità ideali per Abigaille, ma nei panni della regina di Spagna la Pirozzi si rivela artista sensibile e raffinata. La nobiltà d’animo della regina, la sua sofferenza provocata dalla lotta tra l’amore e il dovere sono disegnate dalla cantante napoletana in modo credibile e appropriato. E cosa dire delle sue qualità di vero soprano drammatico, potente e bel timbrato, che affronta senza una minima sbavatura i lunghi assoli come ìi pezzi d’insieme? Anche i filati sono impeccabili e musicalissimi; alla fine del duetto finale col tenore entrambi i cantanti ottengono una vera ovazione.
Nel ruolo del titolo, piuttosto ingrato se confrontato agli altri, troviamo il tenore Piero Pretti che possiamo considerare ideale: il personaggio gli calza a pennello. Disegna un giovane uomo dall’animo nobilissimo, ma tormentato da sempre: è un evidente pizzico di follia che rende l’infante di Pretti coinvolgente e degno di compassione. Questa follia la si percepisce anche nel canto, nella romanza iniziale, e si rafforza nella scena dell’autodafé. Voce dal bel colore tenorile, accento giusto, fraseggio ben studiato: in Piero Pretti si potrebbe rimproverare soltanto una certa tensione nell'estremo acuto.
Ernesto Petti nella parte di Rodrigo è uno dei mattatori del Don Carlo modenese; alla voce pastosa dal bel timbro si uniscono felicemente la morbidezza e la virilità. Allo stesso modo, la sua personalità e il suo modo di stare in scena risultano molto adatti alla figura del marchese idealista. Intona bene “Per me giunto è il dì supremo”, ma è in “Io morrò” che coglie un vero trionfo grazie a un’interpretazione intensa e l’accento nobile; la morte di Rodrigo risulta uno dei momenti più alti e commoventi della seconda recita modenese.
Teresa Romano, poco tempo fa ascoltata in Fedora, fornisce un’ottima interpretazione anche della principessa Eboli e si conferma felicemente un’artista poliedrica, efficace come mezzosoprano e capace di avvicinarsi al soprano drammatico. Disegna un’Eboli piacevolmente passionale, ironica, elegante con un pizzico di “velenosità” e sfoggia una voce dai colori chiari nella Canzone del velo per cambiare notevolmente il tono e i colori nel quartetto del terzo atto e soprattutto nell’aria “O don fatale”, entrambi altamente drammatici e struggenti. Peccato per la scelta di scurire eccessivamente la voce, che pare talora un po' intubata.
Sufficientemente ieratico è Ramaz Chikviladze nel ruolo del Grande Inquisitore e buona la compagnia di comprimari, Andrea Pellegrini (un frate), Michela Antonucci (Tebaldo e Una voce dal cielo dall’effetto cristallino), Andrea Galli (l conte di Lerma e un araldo).
Jordi Bernàcer sul podio fornisce sempre prestazioni dignitose e nel Don Carlo modenese le sue capacità sono confermate. Appare molto coinvolto e con il suo gesto tiene le redini dell’orchestra dell’Emilia Romagna Arturo Toscanini visibilmente coinvolta, sceglie i tempi giusti, ottiene un bel suono omogeneo da tutte le sezioni e dimostra attenzione amorosa per gli strumenti concertanti, come nell’aria di Filippo in cui il violoncello risulta davvero struggente. All’altezza del compito il Coro Lirico di Modena preparato da Giovanni Farina.
La recita domenicale pomeridiana al Teatro Comunale di Modena è nel segno dell’ispirazione e dell’amore grandissimo per la musica di Verdi. Ci rimane a desiderare davvero poco.