Il Regio allo specchio
di Antonino Trotta
Nello spettacolo di Pierre-Emmanuel Rousseau che omaggia e celebra il Teatro Regio di Torino, la compagnia di canto affiatata, la prova straordinaria del Coro diretto da Ulisse Trabacchin e la raffinatissima concertazione di Francesco Lanzillotta fanno decollare e volare alto La rondine di Puccini.
Torino, 18 novembre 2023 – Era difficile immaginare che una Rondine potesse emozionare così. Letta con sensibilità moderna, in effetti, l’epilogo perde un po’ della sua originalità: quale pazza, oggi, avrebbe detto si a un mammone squattrinato che, diventato uomo da appena un paio di notti, ti propone di trasferirsi a casa con i suoi, a far figli e a coltivare la terra e se magari avanza anche del tempo, perché no, qualche lavoretto alla povera suocera che, è evidente già dalla sola lettera, si preannuncia una gran rompiscatole. Per carità, senza soldi non si cantano messe, figuriamoci se si suonano le marce nuziali. Eppure, al Teatro Regio di Torino, dove La rondine di Puccini chiude l’anno operistico, la sala si abbandona con i brividi lungo la schiena. Non per l’opera in sé, che è carina assai ma non fa quest’effetto, quanto per il modo con cui essa è stata realizzata.
Con un colpo di testa di grande impatto, e senza imporre alcuna pretestuosa forzatura, Pierre-Emmanuel Rousseau trasla e ambienta l’opera al Regio stesso. Ecco allora che nelle scene del primo e terzo atto, colori, tappezzerie, modanature, suppellettili richiamano e rimandano a quella ricercatezza così grintosamente anni Settanta con cui Mollino ha costruito e reso unico il nostro teatro. È il secondo atto, però, l’autentico capolavoro, e non solo perché Bullier è la copia uno a uno il foyer che ogni volta ci incanta – con l’unica differenza che le balaustre, lì, sono a norma! –. Con l’arrivo del magnifico concertato la festa, fino ad allora animata da bravissimi ballerini di fox-trot, s’interrompe di colpo; tutti, con indosso abiti di ogni genere pescati negli armadi dalla sartoria, guadagnano il proscenio e il meglio del Regio, sul palco del Regio, brinda al Teatro.
Qui il Coro, che tra le mani di Trabacchin pare aver raggiunto livelli mai uditi prima, si fa protagonista e ragione sufficiente per correre immediatamente in biglietteria: la colonna sonora imponente, l’omogeneità delle sezioni, la cura nelle dinamiche che si sviluppano nel giro di un paio di battute, l’assenza totale di sbavature o imprecisioni, fanno di «Bevo al tuo fresco sorriso» una pagina di celestiale perfezione. Straordinari.
Va detto che in buca, alla guida dei complessi del Regio in gran spolvero, Francesco Lanzillotta porta a compimento il solito miracolo direttoriale: un Puccini più ricercato, più rifinito, più coinvolgente di così difficilmente lo riascolteremo questa stagione, né, probabilmente, negli anni a venire – a meno che, sistemato il Coro, il teatro non decida di fare un regalo anche all’orchestra… –. Di questa partitura che è una miniera di gemme Lanzillotta coglie ogni aspetto, dal preziosismo strumentale al dettaglio di fraseggio, e ogni aspetto è restituito al pubblico grazie a un’orchestra che sa essere flessuosa e sinuosa come non mai: l’amarezza del disincanto, la fregola amorosa, tutti quei temi insomma che senza urla disperate e pianti a squarciagola rimpolpano il coté sentimentale dell’opera, trovano nella delicatezza e nella leggerezza di una concertazione che nulla lascia al caso, la più sincera e convincente espressione.
Anche la compagnia di canto fa, nel complesso, molto bene. Carolina Lopez Moreno canta Magda con timbro suadente e correda la parte con pianissimi di ottima fattura. Attrice spigliata di bellissima presenza, crea un personaggio garbato, romantico, che empatizza col malcapitato senza trasformarsi in crocerossina. Oreste Cosimo, il malcapitato Ruggero, da buono sfogo all’ardore dell’amore con un’emissione franca che va indietro solo in sporadiche occasioni. Marco Ciaponi, nei panni del Don Giovanni di turno, Prunier, fa invece strage di cuori con una voce luminosa, bella e ben ammaestrata che non si risparmia in sfumature di colori e accenti. Recita anche molto bene, come del resto la sua amica Lisette, qui interpretata da Marilena Ruta: strumento appuntito, guizzante e adamantino. Vladimir Stoyanov, nel ruolo di Ruggero, è una garanzia. Completato correttamente il cast Matteo Mollica (Périchaud e Rabonnier), Pawel Żak (Gobin e Adolfo), Rocco Lia (Crébillon e Un maggiordomo), Amélie Hois (Yvette e Georgette), Irina Bogdanova (Bianca e Lolette), Ksenia Chubunova (Suzy e Gabriella) e tutta la cricca di cantori, studenti e gaie fioraie (Caterina Borruso, Luigi Della Monica, Rita La Vecchia, Laura Lanfranchi, Paola Isabella Lopopolo, Lyudmyla Porvatova, Eugenia Braynova, Daniela Valdenassi, Roberto Guenno, Alejandro Escobar e Matteo Pavlica) selezionati con cura dalla file del Coro.
Rispetto a Bohème, poca gente alla prima – la vera prima è saltata per sciopero – di sabato. Pentitevi e correte.