Werther con l’Oscar
di Antonino Trotta
Al Teatro Carlo Felice di Genova, la nuova produzione del Werther si distingue per la raffinata concertazione di Donato Renzetti e l’ottimo parterre vocale in cui s’impone Jean-François Borras nel ruolo del titolo. Molto bella la messinscena di Dante Ferretti, che nel solco della tradizione si avvicina al capolavoro di Massenet con cinematografica cura dei dettagli.
Genova, 26 novembre 2023 – Data la felice e frequente collaborazione che lega il Teatro Carlo Felice di Genova alla bacchetta di Donato Renzetti, non si farà torto all’eccezionale maestro se si confessa che nella locandina del nuovo allestimento del Werther, in coproduzione con il Teatro Nazionale di Zagabria, il nome che più incapriccia è quello di Dante Ferretti. Scenografo pluripremiato, star hollywoodiana e vincitore di tre premi Oscar, Ferretti s’è dimostrato, qui alle prese col capolavoro di Massenet, artista di indiscutibile mestiere. Il suo Werther, ambientato negli anni Trenta, si sviluppa e si articola con grazia quasi cinematografica: i colori tenui e la ricchezza delle magnifiche scenografie, l’arguzia e la cura nelle scene in cui l’abbondanza d’attori è vissuta come un’opportunità per impreziosire il linguaggio della narrazione, definiscono in maniera inequivocabile e soddisfacente il clima di piccola, bonaria e serena borghesia che fa da contraltare drammaturgico ai tormenti del giovane protagonista. Con questo ambiente radioso e disteso, di fatto, Werther non riesce mai a trovare un vero punto di contatto, così il garage freddo e buio – non ricoprono un ruolo secondario le luci di Daniele Nannuzzi – in cui si toglierà la vita diventa l’emblema di quell’isolamento interiore che si respira fin dalla prima scena. Certo, sul palcoscenico, se lo sfondo scorre con la classe di una pellicola d’autore, le tensioni tra i vari bipoli si vivono e si gestiscono in maniera più compassata, sicché ad accendersi, nel Werther secondo Ferretti, più che la passione, è l’eleganza.
Passionalità ed eleganza, invece, si sommano con massimo equilibrio nella raffinatissima concertazione del già citato Donato Renzetti che, alla guida dell’Orchestra del Teatro Carlo Felice, legge Massenet occhio sensibilissimo alle vibranti sfumature della drammaturgia musicale. Con tempi che tendono a distendersi, colori che si espandono in ogni possibile direzione timbrica e dinamiche, al solito, ragionate e calibratissime lungo tutta l’arcata dell’opera, Renzetti intavola una lettura che, pur amplificando i sussulti emotivi dei vari personaggi, non soccombe mai alla bruciante carnalità, bensì vive sul confine di un lacerante onirismo.
Ed è in questa dimensione che dimora anche il Werther di Jean-François Borras: pur non mancandogli vigore e squillo, Borras costruisce un protagonista sfumatissimo nel canto e dolente nell’accento, capace di restituire con disarmante concretezza quell’aura di tormentata alterità che avvolge l’ultimo eroe romantico. Più a portata d’uomo, invece, è il tormento che anima la Charlotte di Caterina Piva: delicata, materna, Piva tratteggia con ricercata misura le peregrinazioni emotive del personaggio, a cui dona, oltre alla toccante espressività, una voce bella e smaltata, timbrata e omogenea in tutta la gamma. Jérôme Boutillier è un Albert di bella presenza scenica, ben cantato, solido nell’emissione e nobile nel fraseggio. Hélène Carpentier impersona la giovanissima Sophie con uno strumento vibrante e schietto, Armando Gabba è un Bailli amorevole e garbato. Fanno molto bene anche Roberto Covatta, uno Schmidt dalla linea vocale limpida, e Marco Camastra, un Johann dal porgere fragrante. Completano poi correttamente il cast Emilio Cesar Leonelli (Brühlmann) e Daniela Aloisi (Kätchen). Ottimo, infine, il contributo del Coro di voci bianche istruito dal maestro Gino Tanasini.
Calorosa la partecipazione del pubblico a questo spettacolo, nel complesso, riuscito molto bene. L’ennesimo, a onor del vero, in un teatro che dopo la pandemia ha cambiato positivamente direzione. Ma siamo appena all’inizio della stagione, e il meglio deve ancora venire.