L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Sensoriale e sirenesco

di Francesco Lora

Trionfo annunciato, al Teatro alla Scala, per l’ecumenico concerto di Renée Fleming ed Evgeny Kissin, con pagine da camera di Schubert, Liszt, Rachmaninov, Duparc e Strauss.

MILANO, 26 gennaio 2023 – Tutti ecumenicamente insieme a riempire di persone e ragioni il Teatro alla Scala, come non è affatto scontato che avvenga nella stagione dei concerti di canto. C’è la somma diva della vocalità e c’è il sommo divo del pianoforte. C’è dunque la precettante sessione plenaria dei melomani italiani e non solo italiani, ma nel contempo c’è quella di chi venera la musica da camera e snobba l’opera. C’è anche il solito turista che s’è comprato un biglietto per il gusto di postare su Instagram una foto scattata dentro la Scala, e incassa, il profano, sguardi di disprezzo più grevi del solito, per non avere la minima idea della liturgia nella quale, l’indegno, s’è cacciato. C’è beninteso un programma studiato per tenere tutti d’amore e d’accordo, dal soprano allo strumentista e dal loggionista d’assalto al sommelier accademico: il Franz Schubert di Suleika I, Die Vögel, Lied der Mignon e Rastlose Liebe; il Franz Liszt di Sposalizio da Années de pèlerinage, del primo tra i Quatre valses oubliés, di Freudvoll und Leidvoll, Über allen Gipfeln ist Ruh, Im Rhein, im schönen Strome, S’il est un charmant gazon e Oh! Quand je dors; il Sergej Rachmaninov di Siren’, Son e di due tra i Morceaux de fantaisie; infine lo Henri Duparc di Extase e Le manoir de Rosemonde. C’è insomma uno di quei sofisticati Liederabend utili a evangelizzare chi ha in testa Ernani, e a mettere alla pari la voce e il pianoforte accordando inoltre a quest’ultimo spazi propri: quando si canta, lo si deve fare quantomeno in una lingua ostica al pubblico latino colpevole di troppo Rossini, Verdi e Puccini; mentre si applaude, il vicino chiede cosa sia stato l’ultimo brano ma anche il musicologo butta di straforo l’occhio sul libriccino di sala. Nessuna concessione al turno degli encore, puntualmente tre, che riconfermano Schubert, con Ave Maria, riattestano Rachmaninov, con Vesennie vody, e aprono in coda a Richard Strauss, con Morgen.

La somma diva della vocalità è Renée Fleming, oggi una signora sessantatreenne d’adorabile sornioneria statunitense, viepiù selettiva nelle apparizioni concertistiche e ancor più in quelle sceniche, mancata da lunghi anni all’ascolto – assai mancata – nelle istituzioni italiane. Il suo curriculum è ormai un’agiografia: non rammenta dove s’è esibita e non anticipa dove s’esibirà, ma cristallizza ciò ch’ella è, tra primati, patrocinii, riconoscimenti, opere non liriche ma salvifiche. Tra una parte e l’altra del concerto la diva cambia non solo l’abito e lo stile dell’abito e il significato dello stile dell’abito, ma anche l’acconciatura e lo stile dell’acconciatura e il significato dello stile dell’acconciatura. Nel canto – eccoci al punto – soggioga. Benché usi prudenza: le linee melodiche da lei scelte sono pressoché tutte posate e sillabiche, con parsimoniose uscite dal rigo tanto in acuto quanto in grave; i rari passi concitati rischiano di tradire l’impaccio, le rare escursioni verso l’alto rischiano di tradire la tensione. Il registro centrale, però, è incantatorio per caldo e molle legato, per languoroso charme, per integrità di linea e per ampia risonanza, senza nulla aver perduto degli anni dedicati a molto Mozart e molto Strauss. Ha luogo un incanto sensoriale e sirenesco, non angelico e cerebrale, con la malìa della nota sempre un passo avanti all’incisività della parola, e con quell’immascheramento del suono che, perfetto, ha tuttavia un non so che di sottilmente impudico, perversamente ingolato, peculiarmente fleminghiano. Senza il sommo divo pianista, la Fleming non canta; senza il soprano, Evgeny Kissin suona invece eccome: ed eccolo deuteragonista, non mero accompagnatore, arbitro assoluto del coniugio tra la ricaduta poderosa sulla tastiera e l’estasi perlacea delle sonorità. Trionfo. L’indomani, il loggionista d’assalto e il sommelier accademico possono dividere di nuovo le loro strade.


 

 

 
 
 

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