L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Invitation au voyage

 di Stefano Ceccarelli

L’Accademia Nazionale di Santa Cecilia invita un talentuoso duo, Sandrine Piau (soprano) e David Kadouch (pianoforte), che conduce il pubblico in un viaggio sonoro fra lieder e mèlodies di Schubert, Liszt, Wolf, Clara Schumann, Duparc, Lili Boulanger e Debussy.

ROMA, 1 febbraio 2023 – Sofisticato, eclettico, delicatissimo, il programma Invitation au voyage è, letteralmente, un catartico viaggio fra il romanticismo ed il simbolismo musicale. A condurre gli spettatori sono l’eclettica voce di Sandrine Piau e la delicatezza dell’arte pianistica di David Kadouch. Il titolo del concerto, una serie di lieder e mélodies, con qualche pezzo pianistico inframmezzato, è già di per sé eloquente: il tema del viaggio. Eppure, le declinazioni di questo tema possono essere certamente molteplici. Il senso metaforico del voyage si nota bene nel primo tempo del concerto, che con Schubert si apre e si chiude (in Ringkomposition): l’estremo voyage, la morte, è infatti il fil rouge che attraversa tutte le composizioni accuratamente scelte per questa sezione.

Si inizia con Mignon di Franz Schubert. L’intesa fra Piau e Kadouch è formidabile; l’atmosfera, soffice ed eterea, è quella di un interno ottocentesco. Kadouch è attentissimo ai colori, mentre Piau fraseggia con infinite sfumature, sfoggiando una voce piena ma duttile, chiara ed eterea, ma anche ombrata, quando occorre. Seguire i testi sul programma di sala, poi, non è solo un delizioso piacere, ma anche un utile ripasso di perle della storia letteraria europea a cavallo fra Sette e Ottocento. Il testo di Mignon è di Wolfgang Goethe, dal Wilhelm Meister. Piau interpreta il brano con fresca, ingenua dolcezza. Segue, sempre di Schubert, il celebre Der Tod Und Das Mädchen: da qui iniziano le sfumature, varie e sofisticate, del tema della morte nella poesia romantica. Bravissima Piau a trapassare dal timore della fanciulla alla cavernosa, funerea voce della Morte, mentre Kadouch legge la seconda parte del brano con accordi da marcia funebre. Ancora un testo di Goethe chiude la ‘triade’ schubertiana, con So lasst mich scheinen, bis ich werde. Piau trasfigura, letteralmente, la melodia con un gioco equilibrato di colori, che rappresenta il cammino di un’anima verso il paradiso. Ecco, poi, ad interrompere la serie schubertiana, un lied di Franz Liszt, Der Fischerknabe, dal Wilhelm Tell di Fridrich Schiller. La scrittura pianistica è screziata di bellezze marine, elegantemente porte da Kadouch, in apertura del pezzo. Piau valorizza la tessitura acuta, trasmettendo l’angoscia per l’annegamento del giovane pescatore. Il programma prosegue con tre lieder di Hugo Wolf, su testi di Eduard Möricke, certamente meno noti di quelli precedenti. Idea portante dei recitals del duo, infatti, è proprio quella di alternare pezzi più noti a brani meno eseguiti. Il primo, Auf ein altes Bild, è la descrizione di un quadro rappresentante Maria che gioca su un prato con Gesù; l’elemento della morte è presente nel legno boschivo, che prefigura quello della croce (un po’ come il cardellino prefigura la passione di Cristo). La dolorosa dolcezza della melodia si incardina su un accompagnamento che ha il sapore di un sacro corale. Una parentesi erotica e furtiva è quella di Begegnung, su un incontro notturno fra due giovani: su folate del pianoforte, Piau si muove agile, mostrando anche un lato più precipuamente virtuosistico della sua tecnica vocale. La melodia di Verborgenheit è tessuta sulle pene d’amore e la voce di Piau si fa soffusa, chiaroscurale, sorretta dai drammatici accordi della parte pianistica. Le opere di Clara Schumann stanno godendo, ora, di una rinnovata fortuna; fra i talenti della celebre moglie di Schumann c’era anche la scrittura liederistica, come testimoniano Die Heimkehr e Die Lorelei, ambedue su testi di Heinrich Heine. Se il primo è un veloce lied sul classico tema di amore e morte, il secondo rielabora il topos odissiaco delle sirene che attirano alla morte i marinai: qui è Lorelei che con il suo canto fa affogare l’incauto e sedotto barcaiolo. Piau trasmette tutta l’angoscia della voce narrante, che vede il barcaiolo progressivamente abbandonarsi, ammaliato, al suo destino di morte. Prima dell’ultimo, celebre brano del primo tempo, Kadouch esegue lo Scherzo n. 2 op. 14 di Clara Wieck/Schumann, dandoci un saggio della sua bravura e di quanto la Wieck meriterebbe di trovarsi ancor più stabilmente nei palinsesti dei concerti di tutto il mondo. L’ultimo brano è il tenebrosamente fiabesco Erlkönig di Schubert; il tema è, ancora, la morte di un ragazzo, caduto preda del Re degli Elfi. Kadouch dà l’abbrivio alla cavalcata pianistica, sul cui tema concitato e galoppante si muove la voce di Piau, che interpreta sia il ragazzo che il malefico Re degli Elfi; pregevole, in particolare, l’accattivante melodia con cui il Re tenta di sedurre il moribondo bambino, che arriva, infatti, già cadavere alla fine dell’inesorabile cavalcata.

Il secondo tempo può, a buon diritto, definirsi baudelairiano. La maggior parte delle mélodies, infatti, è su testo del pioniere della poesia contemporanea, il Charles Baudelaire de Les Fleurs du Mal, come la prima, musicata da Henri Duparc, Linvitation au voyage (da cui il concerto trae il suo titolo). Piau fa uscire tutta la sensualità di cui è capace, giocando con volumi soffusi, giochi di delicatezze. Le liriche di Baudelaire sono un tripudio di suoni, odori e screziature orientaleggianti; proprio come La vie Antèrieure, sempre su musica di Henri Duparc, che chiude il dittico dedicato a questo compositore. Il secondo tempo si apre, dunque, ai viaggi interiori, ai ricordi, ai sogni, come in Si tout ceci n’est qu’un pauvre rêve, di Lili Boulanger, sorella meno nota di Nadia e compositrice di notevole talento. Si tout ceci è un impeto onirico intenso, che Piau canta con drammaticità. Si ritorna, allora, a Baudelaire, musicato questa volta da Claude Debussy: Recueillement torna alle atmosfere funeree del primo tempo, interpretate con il senso di spleen tanto caro al francese. Debussy ne trae una mélodie tonalmente incerta, che svetta spesso in acuto (incarnando a livello sonoro il dolore di cui si parla nel testo), con accenti che spaziano dal sensuale al funebre, tutti colti da Piau, particolarmente versata in questo repertorio. Ancora, poi, una canzone di Boulanger, Vous m’avez regardé: una mélodie sensuale, letta con trasporto dall’interprete. Il concerto volge al termine, ma prima degli ultimi brani Kadouch dà ancora saggio della sua maestria con Cortège da Trois morceaux pour piano di Boulanger, una melodia dall’apparenza semplice, quasi infantile, ma che scorre limpida fino ad una climax, per poi sciogliersi nuovamente negli accordi iniziali. Il concerto si conclude con altri due pezzi da Cinq poèmes de Baudelaire di Debussy. Le jet d’eau, poesia di rara sensualità, in cui la voce narrante contempla la bellezza della sua amata mentre ode lo zampillio di una fontana, viene letta da Piau con incomparabile delicatezza, verticalizzando le frasi tonalmente cangianti in acuti cristallini, mentre il pianoforte – letteralmente – zampilla effetti acquatici. Sensualità, dolce e pura malinconia: tutto traspare dalla scrittura di Debussy. Ultima mèlodie di Debussy da Baudelaire è La mort des amants, dove Piau dà vita ad un fraseggio più deciso, più intenso, con acuti potenti e pieni. La conclusione del concerto si assesta su un’atmosfera positiva: il breve Comment, disaient-ils, su testo di Victor Hugo e musica di Liszt, interpretato con un certo piglio, stempera tutti i sentimenti fatti emergere da questo percorso. Molti e calorosi i meritati applausi per il duo, che abbandona il palco dopo un bis: La reine de coeur di Poulenc.


 

 

 
 
 

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