En blanc et noir
di Luca Fialdini
Aleksandar Madžar è protagonista del secondo concerto di Anima Mundi 2023, un viaggio da Mozart a Debussy passando per Liszt e Schumann
PISA – Il Camposanto monumentale di Pisa è lo sfondo dei concerti cameristici di Anima Mundi e il primo appuntamento di questa XXII edizione è il recital pianistico del serbo Aleksandar Madžar che propone al pubblico una lunga promenade dal 1791 al 1908.
Nel programma costruito da Madžar esiste una difficoltà fisiologica perché riunisce composizioni che sono state concepite per la camera e per il palcoscenico, tuttavia questa dicotomia nella destinazione originaria è risolta con eleganza dallo stesso Madžar imponendo a tutti i brani una intelligente lettura cameristica: c’è un impeccabile controllo dell’articolazione e del tocco (dove peraltro risultano molto espressivi i piani e i pianissimi) unito a un importante studio del colore pianistico, le sonorità non sono mai eccessive, non castigate ma contenute, inoltre la scelta dei tempi è chiaramente mossa dall’esigenza di mettere in risalto queste caratteristiche. Va da sé che i brani in programma – per quanto eterogenea potesse essere la loro destinazione – sono stati selezionati proprio per facilitare questo tipo di operazione senza che si corresse il rischio di snaturare qualche pagina.
L’Andante in fa maggiore KV 616 di Wolfgang Amadeus Mozart (originariamente scritto per organo meccanico) è la perfetta introduzione a questo microcosmo cameristico di equilibri e bilanciamenti, con le ornamentazioni cristalline e i colori ricercati, mostrando in nuce i tratti che caratterizzeranno il resto dell’esecuzione e saranno ancor più accentuati nella poderosa Fantasia in do minore op. 17 di Robert Schumann.
Il grande arco narrativo in tre movimenti animato da un’invenzione impetuosa e decisamente fuori dagli schemi (unico motivo valido per rifiutare l’etichetta di Sonata) viene reso in modo sorprendente da Madžar. L’elemento che colpisce fin da subito lo spettatore è l’eliminazione di tutti i fortissimi – da due e tre f – e degli accenti forti che Schumann nota sulla parte in favore, come detto sopra, di sonorità più contenute; una decisione che di fatto trasporta l’opera su un piano molto più intimo. Tuttavia di questa pagina si preservano il fuoco e l’ardente espressività, caratteristiche da intendersi come irrinunciabili se in una lettera del marzo 1836 a Clara il compositore stesso osserva che «iI primo tempo è davvero quanto di più appassionato abbia mai fatto». La lettura di Madžar si può veramente definire appassionata nel senso più viscerale del termine: niente strepiti, niente baccano, ma un fuoco impetuoso e sottile come una conversazione a due di cui ci troviamo a essere spettatori involontari, con i suoi dialoghi serrati, i sussurri, le passioni e i pensieri ricorrenti quasi fino all’ossessione, come il do grave che torna di continuo nel primo movimento, il Durchaus phantastisch und leidenschaftlich vorzutragen. Molto interessante anche la valorizzazione delle voci interne (in particolare nel conclusivo Langsam getragen. Durchwegleise zu halten), che però non rubano mai la scena all’effettivo mèlos.
Anche il Liszt dei Due studi da concerto S 145 viene presentato senza funambolismi o gesti ginnici, la preoccupazione maggiore di Madžar resta la chiarezza dell’articolazione e del colore. Ecco che il primo Studio, Waldesrauschen («Mormorii della foresta»), diventa espressione somma del legato prefigurando in qualche modo l’Ondine di Ravel, mentre viene accentuato il lirismo non melodrammatico delle frasi di semiminime e crome; il successivo Gnomenreigen («Ridda degli gnomi») è una nuova espressione di levità unita a una completa intellegibilità delle figure ritmiche, come l’ineffabile cascata di trentaduesimi alle batt. 33-35 e la meravigliosa – nonché musicalissima! – sequenza di ribattuti della mano sinistra alla fine del pezzo.
Parzialmente meno centrato il Debussy del Children’s Corner. È pacifico che la suite non da virtuoso, ma in ogni caso cela difficoltà tutt’altro che trascurabili legate principalmente ai concetti di peso e colore. Benissimo il Doctor Gradus, il Jimbo’s lullaby e soprattutto l’ermetico Little shepherd, che Madžar risolve in modo eccellente; bene anche la Serenade for the doll anche se leggermente sottotempo. Troppo sottotempo, invece, The snow is dancing: in questo caso la decisione di adottare un tempo più comodo per avere un dato percettivo più nitido porta a un risultato esecutivo errato perché il tempo lento scioglie quella texture che evoca proprio l’impressione di una morbida nevicata. Il Golliwogg’s cakewalk è invece sin troppo pesante. La verve jazzistica è nel DNA di questo ballo strettamente imparentato con il ragtime, ma nell’esecuzione si avverte un eccesso di spezie e un utilizzo del peso meno coscienzioso.
Notevole l’esecuzione de L’isle joyeuse, l’ultimo dei pezzi pensati per grande sala tra quelli in programma. In questo caso la nitidezza del pianismo di Madžar dipana l’illusione di una grande marina e allo stesso tempo espone chiaramente l’architettura generale debitrice dell’allegro bitematico di matrice sonatistica. Netti e precisissimi i gesti pianistici di trentaduesimi, così come la caratteristica figurazione di sedicesimi puntati, che assieme alle cumulazioni di quinte alla giavanese sono il materiale da cui Madžar ricava i colori di base che poi sviluppa nel corso di questo acquerello che scaturisce dal bianco e nero della tastiera. Godibilissimi, sotto molti punti di vista, la fanfara che ruota attorno all’accordo di mib maggiore prima e di fa poi e il ritorno del primo tema sopra un ritmo quasi di danza da batt. 186. In definitiva un’esecuzione trascinante ma sempre con grazia e signorilità
A felice conclusione di un concerto ben riuscito un bis che ripropone l’amato Franz Liszt, questa volta rappresentato dal secondo numero dei Tre studi da concerto S144, significativamente intitolato La Leggierezza (sic), composizione che ancora una volta consente a Madžar di celebrare la magia di un’accorata sensibilità coloristica.