L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Contrasti ravvicinati

di Alberto Ponti

L’atteso ritorno sotto la Mole di Emanuel Ax nel terzo concerto di Beethoven si accompagna a una lettura della Symphonie fantastique al calor bianco da parte del direttore principale dell’Osn Rai

Torino, 9 maggio 2024 - La proverbiale definizione di coincidentia oppositorum non potrebbe essere più appropriata per le figure di Emanuel Ax e Andrés Orozco-Estrada: tanto introverso è il temperamento del pianista, quanto espansivo è invece il tratto del direttore principale dell’Orchestra Sinfonica Nazionale. Lo si nota con evidenza al termine della prima parte quando Ax, richiamato numerose volte alla ribalta da una sala affollata dal pubblico delle grandi occasioni, non compie mai in primo piano il percorso fra palco e camerini ma guadagna quest’ultimi infilandosi dietro lo Steinway tra il folto degli archi e sobbarcandosi ogni volta l’onere, sotto il profluvio delle ovazioni, di scavalcare il podio direttoriale. Tale andirivieni, che dà l’impressione tra l’altro di avvenire in condizioni di precario equilibrio, avrà fine con una memorabile Ständchen di Schubert nella celebre trascrizione di Liszt, con i suoi effetti d’eco nella ripresa del tema, encore concesso a furor di popolo.

Il programma può d’altronde contare su due opere che non hanno necessità di presentazioni: il Concerto n. 3 in do minore op. 37 di Beethoven e la Symphonie fantastique op. 14 di Hector Berlioz. Della medesima sintesi tra opposti si nutre il confronto dialettico della pagina beethoveniana. Il tocco di Ax, tra i massimi solisti del suo strumento oggi in circolazione, è delicato, soffuso, rinvigorito da mille sfaccettature timbriche soprattutto nei territori del piano e del pianissimo eppure mai sottomesso, mai in secondo piano rispetto a un’orchestra che, sebbene possa disporre di un organico ancora tardo settecentesco, è guidata da Orozco-Estrada con piglio muscolare e deciso, in primo luogo nelle variazioni dinamiche improntate a evidenti contrasti anche all’interno delle singoli frasi melodiche. Ne consegue un autentico e sincero dialogo tra le due anime della composizione: quella del romanticismo incipiente, insita nella scelta di una tonalità sempre cruciale per Beethoven, e quella classica, al cui modello strutturale l’intero concerto rimane legato. Non si creda tuttavia a un’esecuzione elegante ma priva di mordente nella parte del pianoforte. Ax, sostenuto da una tecnica ancora irreprensibile alla soglia dei 75 anni, quando è necessario sfodera attacchi grintosi, talvolta inaspettati, con alcuni episodi dall’ampio Allegro con brio di apertura e del rondò conclusivo che finiscono legati da improvvise increspature di suono al termine di una sezione, in grado di gettare per un istante una luce sorprendente e inedita su una musica tanto conosciuta. Ogni nota, e nel registro grave e nei territori più acuti della tastiera, acquista una propria nitidezza non disgiunta da spessore drammatico, come nella cadenza del primo movimento, dove le ampie volate di semicrome, la vigorosa cascata di terzine, il lungo trillo finale diviso tra le due mani sfociano in una ripresa che, lungi dall’apparire risoluzione catartica, resta ammantata di raro stupore, attesa e mistero. E un metafisico senso di sospensione si libra sopra il poetico Largo, condotto dal solista con nobiltà di fraseggio e di espressione, con un’intensità pensierosa e spontanea che riesce a far convivere fianco a fianco rigore e libertà.

La Symphonie fantastique è partitura ideale per mettere in mostra le indubbie qualità di concertatore del maestro di origine colombiana, cui nulla sfugge della tavolozza coloristica del compositore romantico. Un Berlioz fatto a questo modo, estroverso, espansivo, estremo e quasi caricaturale nel concitato Songe d’une nuit du sabbat piace oppure no. Ma forse il discorso è più ampio, dal momento che il francese è uno dei pochissimi, forse l’unico tra i grandi dell’Ottocento, a risultare ancora oggi divisivo nei giudizi di un certo numero di ascoltatori ad oltre un secolo e mezzo dalla scomparsa. La sinfonia nata tra il 1829 e il 1830 in seguito all’infatuazione per l’attrice irlandese Harriet Smithson pare fatta apposta per rinfocolare gli animi di ammiratori e detrattori. In essa c’è tutto: eccesso plateale e raffinata dolcezza, sogno appassionato ed estasi contemplativa, accademismo di facciata e geniali anticipazioni della musica concreta del XX secolo, senza che Berlioz senta troppo la necessità di una sintesi logica tra elementi tanto disparati. Orozco-Estrada non lascia indifferenti, compie la scelta coraggiosa di tempi non stretti ma sufficientemente serrati, per far risaltare al meglio la qualità di un’orchestra chiamata per oltre cinquanta minuti a una prova di continuo virtuosismo e di resistenza, senza mai venire meno al rispetto delle indicazioni dell’autore, e merita a pieno titolo le ovazioni entusiaste che esplodono dopo l’ultimo accordo all’indirizzo di ognuno dei suoi componenti. Ne esce un ritratto vivo dell’irruenza giovanile di Berlioz, temperato dall’infallibilità di un’intuizione timbrica capace di rendere affascinanti anche i passaggi meno originali da un punto di vista armonico. Al blocco dei primi tre movimenti, staccati con elegante senso della misura e rispetto del dettato compositivo, con ottoni e percussioni chiamati a intervenire il meno possibile e gli angelici rintocchi delle arpe nel Valse (Un bal) centrale, si contrappone l’incandescente temperatura della Marche au supplice e del sabba. Alla bacchetta di Orozco-Estrada bastano pochi gesti per ottenere un pieno controllo di suono e volume, entrambi impressionanti e senza sbavature, abbinati a una scansione ritmica trascinante, ad attacchi puntuali e travolgenti che non possono che infervorare una folta platea dove i posti non occupati sono assai pochi.


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