Brahms secondo Zilberstein
di Mario Tedeschi Turco
Lilya Zilberstein ed Eckehard Stier portano a compimento il ciclo brahmsiano del Filarmonico di Verona.
VERONA, 10 maggio 2024 - Con l’esecuzione della prima e dell’ultima opera sinfonica di Brahms si è concluso al Filarmonico il ciclo dedicato al grande compositore da Fondazione Arena, la cui orchestra è stata diretta per l’occasione da Eckehard Stier, ad accompagnare Lilya Zilberstein nel Primo concerto per pianoforte e orchestra e ad interpretare in chiusura di serata la Quarta sinfonia. Al termine del ciclo, e a uno sguardo complessivo dell’intrapresa, ci sentiamo di lodare senza riserve la Fondazione sia per l’impianto organico della programmazione (un mese o poco più di completa immersione nel corpus brahmsiano, per quanto si tratti di opere ben conosciute, dona all’esperienza dal vivo un rilievo culturale spiccato, che va ben oltre le peculiarità delle singole serate, e si delinea come esperienza di formatività globale, per dirla con un termine rubato alla linguistica), sia per il buon livello tecnico messo in mostra dalla compagine areniana, e infine per la scelta oculata dei solisti reclutati. Ci si augura che negli anni futuri ci sia sempre spazio per serie sistematiche (per genere o tema), e per l’invito a grandi strumentisti, a suonare con i quali riteniamo che la stessa orchestra riesca a trarre il meglio dalle proprie risorse.
Lilya Zilberstein non ha certo bisogno di presentazioni: da decenni in carriera, giunta a piena maturità artistica, impiega una tecnica superiore sempre a favore dell’espressione: attacco del suono spesso ritardando, dinamica contrastiva di acceso dramma, con fortissimo scultorei alternati a piano aerei, quasi smaterializzati, decorso temporale controllato tendente ad allargare (la qual cosa a dire il vero ha creato qualche problema di intesa con l’orchestra, prontamente recuperato con veloci sguardi tra la solista e il direttore), precisione digitale immacolata. Se questi sono i segni più esteriori del pianismo della Zilberstein, dal punto di vista espressivo globale è stata da apprezzare la compiuta messa in forma di un classicismo di architettura piegato all’ineffabile malinconia o ai repentini scarti epici della innovativa scrittura brahmsiana, in quel variegatissimo diagramma poetico irresistibilmente tardo-romantico che è la carne e il sangue di Brahms, delle sue «vie nuove» da percorrere – nella forma del concerto – lontano dall’energia del gesto dei virtuosi del primo 800, verso un’arte «progressiva» in cui è lo sperimentalismo del linguaggio armonico a guidare forma e senso del linguaggio impiegato. La particolare accentuazione dei fraseggi discendenti nell’Adagio ottenuta dalla Zilberstein e da Stier, ad esempio, ci è parso il momento più felice dell’esibizione, nel quale l’aura sacrale cercata da Brahms è stata resa alla massima densità di presenza, con nuances gravide di aspettativa, di tensione, cui la frammentazione della scrittura dei clarinetti e poi di tutti i legni (che sono forse la sezione migliore dell’orchestra veronese) si è rivelata come il gesto più autenticamente anti-classicista, idiosincratico, di questo Brahms, perennemente dentro e fuori lo schema cui pure fa continuo riferimento: in questo senso, il trascendere la classicità dal proprio interno ha assunto, nel massimo rilievo offerto da solista e direttore, tutto quel carico di profetica forza che Schönberg, nel suo famoso articolo Brahms the Progressive del 1933, aveva già criticamente messo in luce. Un’interpretazione dotta, potremmo dire, quella ascoltata al Filarmonico: meno travolgente di tante altre cui possiamo far riferimento grazie al disco, ma rivelatrice di almeno uno dei caratteri fondanti il capolavoro. Molti applausi alla pianista, ma nessun bis.
La Quarta sinfonia è stata offerta con poche idee, ma molto precise: suono pieno e plastico, di dura roccia basaltica; temi e motivi spiccatissimi nel fraseggio non molto vario nella dinamica, ma nitido, robusto, netto, definito; complessione ritmica scandita inesorabilmente, con affiatamento delle sezioni sempre puntuale. Ne sono sortiti al meglio i due movimenti iniziale e finale, in modo particolare la Passacaglia, nella quale le voci interne dei legni (ancora!) sono risuonate con singolare vigore, andando a dipingere un panorama musicale di freddissima tragedia, tagliente come un rasoio, davvero come se si volesse far risuonare non la fine di una sinfonia, ma della sinfonia in quanto genere storicamente individuato. Forse un tantinello più monotoni i movimenti centrali, specie l’Andante moderato, che ci è parso privo di quell’inquietudine che gli arcaismi melodici e i trasognati ritmi di marcia lugubre tracciano nella partitura. Esecuzione comunque apprezzabile, risolta con buona tecnica: la qual cosa è stata più che sufficiente a far rivivere uno dei più sconvolgenti capolavori della storia musicale occidentale. Vivo successo ancora, e ancora nessun bis: ottima scelta onde non far svanire la visione tragica, ultimativa, che Brahms ci pare esiga si porti nella mente e nel cuore, al termine della sua Quarta.