Sei idiomi per dieci autori
di Luigi Raso
Nadine Sierra, con Bryan Wagorn al pianoforte, si cimenta a Napoli con un programma che ne mette alla prova la versatilità vocale, stilistica e linguistica. I risultati migliori sono nel repertorio spagnolo e brasiliano.
Napoli, 23 maggio 2024 - Per il suo ritorno al San Carlo Nadine Sierra opta per una programma variegato, che le richiede versatilità di stili esecutivi e vocali. Gli accostamenti dei brani, invero, non appaiono del tutto coerenti, benché di sicuro accattivanti; quanto alla versatilità, che il programma scelto impone, la si riscontra però a tratti, come si dirà.
Con l’accompagnamento discreto, pulito e puntuale dell’eccellente Bryan Wagorn, pianista dal tocco raffinato e cesellato, in simbiosi musicale con il soprano di cui - come apprendiamo dal ringraziamento finale del soprano statunitense stesso - è fraterno amico da moltissimi anni, Nadine Sierra apre il recital con la travolgente energia vitale di “Je veux vivre”da Roméo et Juliette di Charles Gounond (opera che interpreterà nel febbraio 2025 proprio al San Carlo, al fianco di Javier Camarena), che mette in mostra la caratura dei suoi mezzi vocali: vocalità dal buon volume, bel timbro, acuti luminosi e ben emessi. Il soprano, pur al netto di una diffusa meccanicità nelle colorature, riesce ad imprime a Juliette tutta la sua giovanile esuberanza amorosa. Si resta nel repertorio francese per la meravigliosa, languida “Depuis le jour”da Louise di Gustave Charpentier: molto ben cantata, ma un po’ carente di quell’abbandono lirico, e quella pienezza vocale, che il brano richiederebbe.
Con i Lieder Allerseelen, op. 10 n. 8, Ständchen, op. 17 n. 2, Morgen, op. 27 n. 4, Wiegenlied, op. 41 n. 1, Cäcilie, op. 27 n. 2di Richard Strauss, Nadine Sierra si addentra nel campo, che si dimostrerà purtroppo minato, della liederistica tedesca: la pronuncia è approssimativa e lo stile ricorda più quello delle arie italiane che quello dei raffinati Lieder di Strauss. Non si può certo dire che non li canti bene, ma è evidente da subito la limitata sintonia stilistica del soprano statunitense con questo repertorio. È un Richard Strauss troppo “latinizzato” quello restituito dall’interpretazione della Sierra.
Limiti analoghi e una compassata partecipazione emotiva si riscontrano, purtroppo, in “Vilja, o Vilja” da Die lustige Witwe di Franz Lehár, in cui colpisce la scarsa presenza, nelle prime battute, del legato. Ma è tutta l’interpretazione della Canzone della Vilja ad apparire compassata, priva di adeguato approfondimento stilistico e di partecipazione emotiva.
Quanto a precisione della dizione, nel passare dal tedesco al napoletano di ‘O sole mio di Eduardo Di Capua, cambia poco, malgrado il quarto di napoletanità della Sierra (una nonna è di Napoli): esecuzione musicalmente abbastanza precisa, però molto poco idiomatica, ma che sa come strizzare, spargendo trilli, l’occhio al pubblico napoletano.
Cambia radicalmente musica - è il caso di dirlo! - con la seconda parte del recital, rispetto alla prima, molto più affine alle corde stilistiche e sentimentali della Sierra.
La travolgente “Me llaman la primorosa” dalla zarzuela El barbero de Sevilla di Gerónimo Giménez sembra contenere nel testo il ritratto della Sierra: “Me llaman la Primorosa, la niña de los amores, por mis ojos tentadores y esta cara tan graciosa (…) Porque tengo tez morena que es color de la hermosura y es gallarda mi figura como vara de azucena (…).” Il soprano affronta la brillante aria di Elena immergendosi nelle sue volute musicale, scaldando e travolgendo il pubblico del San Carlo. Dalla platea, al termine, qualcuno esclama nei suoi confronti “Brava, bella e simpatica!”.
E in effetti da questo momento il recital, che finora era apparso alquanto compassato e dominato da un’uniformità interpretativa, cambia verso: la Sierra appare a suo agio nei brani scelti, la sua voce raggiunge un grado di temperatura musicale e soprattutto emotiva che coinvolge e illumina la lettura dei brani di quel carisma che latitava nel repertorio francese e tedesco.
La scaletta del programma ci fa lasciare momentaneamente la Spagna per un’incursione verso il Brasile.
E qui, a parere di chi scrive, si incontra il momento più inteso della serata: l’interpretazione della celebre Melodia Sentimental da Floresta do Amazonas del grande compositore brasiliano Heitor Villa-Lobos: una lettura meditativa, crepuscolare, che mette in risalto, attraverso il sinuoso legato, il bellissimo timbro e l’intensità del carisma interpretativo della Sierra.
Si resta per poco tempo in Brasile per il brillantissimo e conciso Engenho Novo!, l’ultima delle Cinque canzoni del folklore brasiliano nordorientale del compositore brasiliano Ernani Braga (1888 - 1948), affrontato dalla Sierra e Bryan Wagorn con tocco pulito, scintillante e gioioso.
Con i Cuatro madrigales amatorios di Joaquin Rodrígo si ritorna all’idioma spagnolo: Nadine Sierra s’immerge perfettamente nell’atmosfera dolente dei madrigales amatorios, farcendoli con un fraseggio analitico, e dimostrando un uso sapiente delle molteplici potenziali tecniche ed espressive del proprio strumento vocale.
Il programma ufficiale del concerto si chiude con una non memorabile Danza di Gioachino Rossini: qualche imprecisione vocale e di pronuncia, unita a una diffusa approssimazione della linea di canto chiudono un recital che, soprattutto nella seconda parte, ha regalato momenti musicali di indubbio valore.
Il pubblico applaude calorosamente e con generosità; Nadine Sierra è artista simpatica, che ama dialogare con il pubblico: gli encores saranno quattro.
I primi tre dedicati a Puccini: si inizia con “Si. Mi chiamano Mimì” dalla Bohème, che mette in evidenza la buona maturazione vocale della Sierra in relazioni a parti da soprano lirico.
Ancora Puccini, con l’intenso “O mio babbino caro”da Gianni Schicchi; infine, l’ultimo dei bis pucciniani è “Vissi d’arte” da Tosca: “in recital si può fare!” premette Nadine Sierra, dopo aver rassicurato di non cantare abitualmente la parte di Tosca. Non mancano imprecisioni nella dizione e si riscontra un ricorso eccessivo ad accenti di artificiosa drammaticità, come a compensare la scarsissima aderenza della vocalità della Sierra all’arduo e drammatico ruolo pucciniano. Auguriamoci, per il bene dell'artista, che le incursioni verso Tosca restino confinate ai recital!
Infine, per ringraziare il bravissimo pianista accompagnatore Bryan Wagorn dell’amicizia fraterna che li lega da ben sedici anni, la Sierra, seduta sulla sgabello del pianoforte, con cullante tenerezza canta Beautiful dreamer di Stephen Foster.
Prolungati e cordialissimi applausi chiudono la serata, che ha visibilmente regalato benessere emotivo al pubblico e ai due artisti impegnati sul palcoscenico.