L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Nei labirinti del cosmopolitismo

di Alberto Ponti

Il direttore principale dell'Orchestra Sinfonica Nazionale, Andrés Orozco-Estrada, saluta la platea dell'auditorium Rai con un programma breve ma intenso incentrato sul Novecento storico

TORINO, 14 giugno 2024 - In attesa della nuova stagione dell'Orchestra Sinfonica Nazionale, fresca di presentazione, in cui sarà chiamato sul podio in ben nove concerti nella sua veste di direttore principale, Andrés Orozco-Estrada si congeda dal pubblico torinese con il secondo dei tre appuntamenti 'Pops' di questo piovoso inizio estate.

Intitolata 'Da Napoli a Buenos Aires', la serata è l'occasione per ascoltare due raffinate pagine del Novecento, distanti tra loro per concezione ma con interessanti tratti stilistici in comune. Si comincia con la suite, assai celebre, che Igor Stravinskij trasse nel 1922 dal balletto Pulcinella, Magistrale esempio di trascrizione moderna di musiche del primo settecento, cento anni fa credute tutte originali di Giovanni Battista Pergolesi (oggi sappiamo che non è così), la composizione rimane uno degli esiti maggiori del periodo 'neoclassico' dell'autore. Sarà tuttavia la presenza di un'orchestra assai ridotta rispetto agli organici delle lussureggianti pagine sinfoniche in cui l'abbiamo conosciuto e apprezzato negli ultimi due anni la bacchetta di origine colombiana, sarà il pubblico relativamente esiguo accorso all'auditorium 'Toscanini', ma l'esecuzione di Orozco-Estrada, pur impeccabile da un punto di vista tecnico, manca soprattutto di quella verve e quell'ironia disincantata essenziali alla piena riuscita del titolo e che ci si aspetta innate in un maestro dalla provenienza culturale 'latina'. Invece, nonostante la brillante scansione ritmica e i tempi sostenuti, pare latitare in primo luogo l'utilizzo scintillante degli strumenti, il gesto stilizzato e calcato delle linee melodiche e armoniche che rendono gustosa e sapida ogni battuta di questo lavoro stravinskijano. Anche i passi più vivaci (lo Scherzino, la Tarantella, il Vivo con il grottesco dialogo fra trombone e contrabbasso, il Finale) sono velati da un'ombra meditabonda, quasi seriosa, che conferisce loro un'espressione inedita, in certo modo intrigante, ma abbastanza distante dall'espressione con cui i pezzi sono normalmente eseguiti.

Nemmeno il tempo di applaudire e il direttore prende il mano il microfono per presentare il cuore della serata costituito dalle Variazioni concertanti op. 23 (1953), tra i capolavori del non immenso catalogo dell'argentino Alberto Ginastera. L'orchestra, poco più ampia di quella richiesta per Pulcinella, rientra in una dimensione ancora cameristica per un secolo come il Novecento, ma gli esiti raggiunti da Orozco-Estrada qui sono assai differenti e stabiliscono un felicissimo equilibrio fra estremo virtuosismo richiesto ad alcuni strumenti utilizzati in funzione solistica (su tutti flauto, clarinetto, corno,violino e viola i cui esecutori meriterebbero un plauso speciale) e la dimensione specificamente 'concertante' in senso lato che si realizza mediante la sofisticata contrapposizione di episodi sostenuti da due sole voci, con il tema principale esposto da violoncello e arpa, e altri che vedono la partecipazione dell'intero ensemble. La scrittura di Ginastera si nutre di stimoli eterogenei, e soprappone una volontà di canto in apparenza spontanea e tutta sudamericana a una complessità contrappuntistica che denota un profondo studio delle esperienze musicali coeve più avanzate, non esente da influssi di Stravinskij, declinati con disinvoltura per ammantare la partitura di un cosmopolitismo sincero, tanto studiato quanto reale, per un autore che in vita ebbe un andirivieni inquieto tra le due sponde dell'Atlantico. Tale coacervo di elementi dà vita a un brano non semplice, complesso nell'articolata costruzione interna, con il tema oggetto di variazione quasi irriconoscibile tra un numero e l'altro eppure capace di conservare una sua specifica identità espressiva, che il gesto direttoriale rende con immediatezza contagiosa, attraverso un suono levigato e avvincente, a tal punto da suscitare al termine l'ovazione entusiasta della platea quasi si trattasse del preludio di Carmen.

Rotto il ghiaccio, la strada è in discesa. Le quattro brevi danze dal balletto Estancia, ancora di Ginastera, colto su un versante folcloristico e descrittivo tra gauchos e peones a suon di malambo, e l'arrangiamento de Nel blu dipinto di blu con la firma illustre di Bruno Maderna, preparato come bis fuori programma, sono fatte apposta per concludere in trionfo una serata iniziata all'insegna di una autentica, ma un poco diffidente, curiosità.


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