L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Tutto è Belcanto

di Roberta Pedrotti

Il recital di Eleonora Buratto apre il ciclo dei Concerti di Belcanto del Rossini Opera Festival con un tributo al canto all'italiana da Bellini e Donizetti a Verdi e Puccini, senza dimenticare Rossini.

PESARO, 12 agosto 2024 - Eleonora Buratto apre quest'anno per il Rof un ciclo di Concerti di Belcanto particolarmente corposo (dopo di lei, Spagnoli, Vargas, Blanch e Barcellona in un ampio ventaglio di generazioni e vocalità). I recital di canto, in quarantacinque anni di festival, non sono mai mancati, anche se è dagli anni Novanta, per un'idea di Luigi Ferrari, che hanno preso l'attuale forma regolare come appuntamenti di circa un'ora a mo' di aperitivo in vista dell'opera serale. In origine sarebbe stato anche il luogo ideale per l'esplorazione soprattutto del repertorio vocale da camera intorno a Rossini, ma nel tempo questa impronta si è sfumata in favore di una più generica libertà dei singoli artisti. Così, ogni Concerto ha un suo carattere peculiare impresso dai suoi protagonisti e nel caso di Buratto possiamo ben parlare di un'esaltazione della tradizione del canto all'italiana, di una sana impostazione che permette di spaziare nel repertorio sempre con risultati di livello, mantenendo elasticità, morbidezza e chiarezza d'articolazione da Rossini a Puccini. È dimostrazione pratica del celebre motto di vecchia scuola secondo cui “tutto è Belcanto”, non in senso di stile, ma in senso di tecnica: emissione sul fiato, timbrata senza artifici.

Il programma, tutto operistico, si apre con Donizetti e Bellini: un anno esatto separa i debutti assoluti di Anna Bolena e di Norma, entrambe affidate a Giuditta Pasta. Buratto canta sulla parola, sempre limpida, con schietta rotondità di suono, che in "Al dolce guidami" assume il candore dell'innocenza perduta, in "Casta diva" invece conferisce alla preghiera, specie invocando la pace nella seconda strofa, una non comune determinazione. Scanditi da intermezzi pianistici affidati alla sensibilità dell'ottimo Michele D'Elia (da Adriana Lecouvreur e da Manon Lescaut) seguiranno altri due blocchi che ci condurranno fra secondo Ottocento e primo Novecento senza perdere il filo di continuità nel gusto e nell'emissione. “Morrò, ma prima in grazia” da Un ballo in maschera è sentito e toccante quanto spontaneo e sincero “Sì, mi chiamano Mimì” dalla Bohème. Per commuovere non ha bisogno di effetti, ma solo di franca adesione al testo e alla musica “Senza mamma” da Suor Angelica, interiorizzata ed espressa naturalmente nel suo geniale sviluppo senza sprecarsi in sentimentalismi di superficie. Un “Vissi d'arte” misurato con gusto conferma come Puccini non necessiti dell'esibizione di corone, vezzi e prodezze, anzi: un “perché me ne rimuneri così” ripiegato secondo il dettato dell'autore vale più di mille spettacolari, eterni filati. Questo, in fondo, dovrebbe essere il metodo d'approccio offerto dal belcanto: cantare tutto, cantare bene, non forzare, fidarsi della musica, del testo, delle indicazioni dell'autore. Il che non vuol dire non imprimere una lettura personale, non prendersi anche qualche libertà, ma con la consapevolezza del senso e dello stile.

Siamo a Pesaro, però: e Rossini? Arriva, arriva nei fuori programma. La Canzone del salice e la Preghiera da Otello non sono una sorpresa: l'ultima apparizione di Buratto al Rof fu con una splendida Desdemona e oggi ne ribadisce la qualità con fraseggio sensibile, canto fluido, sfumature delicate. Scrosciano applausi copiosi, uno sguardo d'intesa e D'Elia si siede ancora al pianoforte, Buratto si prepara a cantare; il secondo bis è la cavatina di Fiorilla dal Turco in Italia. Si leva inevitabile un mormorio di stupore: per quanto i primi passi del soprano siano stati nel repertorio lirico leggero, proprio non ci si immaginava di ascoltare “Non si dà follia maggiore” ora, da una cantante che di recente, dopo Cio Cio San ed Elisabetta di Valois, ha debuttato come Tosca. Eppure, funziona. In primo luogo perché sentiamo che lei si diverte, gusta ogni parola, ammicca, sorride e trasmette divertimento, gusto, complicità e sorrisi al pubblico. Poi, quando si sa cantare e si conosce la propria voce, si controlla l'agilità e si scelgono con cura le variazioni, il gioco è fatto. C'è perfino chi sogna “Non è che la farà lei, qui a Pesaro, l'anno prossimo?”. No: il soprano ci conferma che è stato il desiderio di affrontare almeno in concerto un'aria da un'opera che avrebbe amato cantare se se ne fosse presentata l'opportunità fra un'Adina e una Norina. Non è capitato, ma oggi l'occasione è ottima per confermare che, al di là delle affinità specifiche di un interprete con un repertorio, saper cantare e far musica è un valore che non soffre barriere ed etichette.


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