L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Le voci del fato

di Roberta Pedrotti

La concertazione di Oksana Lyniv tesa a esaltare il tessuto e le metamorfosi tematiche della partitura, la Manon di Erika Grimaldi e il Des Grieux di Luciano Ganci sono i principali motivi d'interesse dello spettacolo inaugurale della stagione lirica bolognese nella sede provvisioria del Comunale Nouveau.

BOLOGNA, 26 gennaio 2024 - Dopo Bruckner, Puccini, dopo la sinfonica, l'opera: dopo l'inaugurazione concertistica del 14 gennaio, Oksana Lyniv torna sul podio per l'apertura del cartellone lirico bolognese. Il titolo scelto è Manon Lescaut, l'opera che consacrò Puccini dopo il tonfo di Edgar che aveva smorzato l'entusiasmo destato al debutto con Le Villi; l'opera che a Bologna arrivò il 4 novembre 1893, poco più di nove mesi dalla prima assoluta ancora con la bacchetta di Alessandro Pomé, che l'aveva tenuta a battesimo a Torino. L'ultimo in ordine di tempo a dirigere Manon Lescaut nella stagione del Comunale era stato, invece, Daniele Gatti: inevitabile puntare lo sguardo sul podio per un'opera tanto frammentaria nella drammaturgia per quadri quanto unitaria nella perfezione musicale.

Dopo la Tosca di quest'estate, Lyniv non delude le aspettative e iscrive anche Manon Lescaut in un'ottica europea, sottolineando tutte le ben realizzate ambizioni pucciniane verso un linguaggio di respiro più ampio nel panorama contemporaneo. L'elaborazione di cellule che costituiscono il vero e proprio ordito della partitura alla stregua di Leitmotive è portata in evidenza, esaltata come se tutto sorgesse, in una sorta di poema sinfonico, dalle metamorfosi della piccola cellula dell'enunciazione del nome: “Manon Lescaut mi chiamo”. Il wagnerismo del giovane Puccini non è di moda e di maniera, non è meccanico ma rivissuto, mediato, ben consapevole delle tendenze armoniche e timbriche francesi come della tradizione italiana. Qui, fedeli a questa prospettiva, nulla si concede alla smanceria, al vezzo e al portamento sentimentalista, tutto ruota inesorabile intorno al nome fatale che ha già in sé il suo destino, il suo sviluppo estremo. Il taglio analitico e sinfonico, come costituisce uno dei momenti di maggior fascino e interesse della concertazione di Lyniv, può comportare anche aspetti interlocutori, soprattutto quando nel rifuggire il puccinismo si rischia talora di perdere anche il naturale respiro del canto, nell'evitare corone, compiacimenti o abbandoni eccessivi si arriva magari ad asciugare troppo l'espansione della frase senza che si percepisca sempre una perfetta sintonia con le intenzioni dei solisti. Insomma, la prospettiva da cui Lyniv guarda Puccini è moderna, intrigante, valorizza per molti aspetti la statura del compositore, il suo pensiero musicale, ma talvolta a discapito di altri elementi che possono, o devono, essere ripensati e ridimensionati, non necessariamente negati.

Se, peraltro, si rimane intrigati dalle peculiarità della lettura musicale (davvero bello, nel suo colore denso e nel suo rigore, l'Intermezzo, momento di gloria di un'orchestra sempre ben concentrata), alla drammaturgia tematica che balza all'orecchio non corrisponde alcuna suggestione per l'occhio. Una volta chiesto alla scenografa Federica Parolini di utilizzare il deserto come costante fin dalla locanda di Amiens e alla costumista di Silvia Aymonino di riferirsi all'epoca della composizione dell'opera con qualche ammiccamento al cabaret e al burlesque, sembra che l'unica preoccupazione registica di Leo Muscato sia stata impiegare la lunghezza (eccessiva, in rapporto ad altezza e profondità) del palco del Comunale Nouveau facendola percorrere avanti indietro dai vari personaggi. Così, se la musica ci parla di fatalità, di passione irrazionale che tutto travolge, l'azione ci riporta nei confini molto più ristretti di una relazione senza lieto fine fra una ragazzetta superficiale e un un ragazzo zerbino, sebbene la coppia protagonista si mostri ben all'altezza della situazione anche dal punto di vista interpretativo.

Luciano Ganci, al suo debutto come Des Grieux, conferma di essere uno dei migliori tenori italiani in circolazione, forte di una sicurezza tecnica che gli consente di reggere in maniera convincente anche una parte micidiale come questa, che da iniziali inflessioni quasi di grazia arriva a esigere uno spessore drammatico. L'acuto è sempre puntuale e squillante, l'articolazione del testo chiarissima, l'interprete intelligente, generoso senza retorica esteriore. Alla sua sventurata solarità si contrappone il canto più denso e cupo di Erika Grimaldi, che ha la silhouette di una credibile Manon, sofferta, sensuale e misteriosa, capace di declinare in verità drammatica e non in difetto vocale un velo di comprensibile stanchezza nel grande monologo finale. Fra uno Scarpia e un Jack Rance, Claudio Sgura, con la sua distaccata aria da scaltro giocatore, è un Lescaut di lusso, né si tratta dell'unico cameo di un cast che annovera anche il Geronte di Giacomo Prestia e l'ottimo maestro di ballo di Bruno Lazzaretti.. Molto efficaci Aloisa Aisenberg nei panni del Musico e Paolo Antognetti come Edmondo che non avremmo sentito malvolentieri anche nelle strofette del Lampionaio, appannaggio invece di Cristiano Olivieri. Costantino Finucci era il Comandante di Marina, Kwangsik Park l'Oste e il Sergente degli arcieri. Molto bene il coro preparato da Gea Garatti Ansini.

Le serate inaugurali difficilmente si sciolgono in accoglienze al calor bianco, per cui i decisi consensi tributati al termine della prima sono indice più che positivo e lasciano immaginare un'ottima risposta anche per le repliche.


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