Luci e ombre sui Puritani
di Irina Sorokina
Si impongono le voci in una produzione dell'opera di Bellini che riscuote un vivo successo di pubblico nel neonato Belcanto Festival di Modena. Qualche perplessità per la messa in scena e per i tagli di tradizione apportati alla partitura.
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MODENA, 12 maggio 2024 - Sono già apparsi nel 2017 al Teatro Comunale Pavarotti Freni di Modena, I puritani di Bellini, un titolo prezioso che raramente fa capolino nelle sale dei teatri. Chi ama la lirica e la segue da molti anni, non sempre vanta il privilegio d’aver ascoltato in teatro l’ultima opera del genio catanese. Chi scrive conserva un ricordo lontano, anzi, lontanissimo. Nei tempi dell’Unione Sovietica al Museo Teatrale della capitale russa esisteva il cosiddetto club dei “filofonisti” (parola sconosciuta alla lingua italiana), cioè degli amanti dell’opera lirica soprattutto in disco. Ogni mercoledì si radunavano in una piccola sala dove il tecnico specializzato aveva a disposizione un apparecchio ingombrante che adoperava un nastro avvolto su una grande bobina. Oggi, nell’epoca di dominio di tecnologie di ogni tipo, queste bobine suscitano un compiacente sorriso e destano nostalgia gli interpreti di quei Puritani in bobina, il tenore svedese Nicolai Gedda e il soprano americano Beverly Sills.
I puritani tornano a Modena dopo sette anni e, come nel 2017, riscuotono una grande approvazione del pubblico. Il successo riguarda più il canto, mentre la messa in scena è piuttosto modesta, non eccelle e non disturba troppo; viene firmata da Francesco Esposito per la regia e i costumi, da Rinaldo Rinaldi e Maria Grazia Cervetti per le scene, da Andrea Ricci per le luci. La scenografia non è altro che una struttura fissa semicircolare che domina lo spazio scenico senza possibilità di stimolare la fantasia dello spettatore, una cornice semplice dalle forme geometriche ideata per disporre il coro nella parte superiore e provvedere alle uscite dei cantanti dalle aperture inferiore lasciando il palcoscenico quasi vuoto per le esibizioni vocali. Nulla della scenografia attira l’attenzione particolare, ci si rimane sempre in una fortezza con dentro molti ambienti, simile ad un labirinto. Per i bei costumi ispirati all'epoca cui ambientata d’opera sono scelti il rosso, il nero e il grigio.
Gradevole agli occhi, la scenografia non è predisposta ad una minima “comunicazione” con i cantanti, i bravi belcantisti camminano e gesticolano sul palcoscenico vagamente somigliando ai bellissimi uccelli esotici dalle gole preziose. La loro gesticolazione formale sembra imparentata con quella tipica dei balletti romantici popolati dalle protagoniste “pazze per amore”: Giselle è divisa dai Puritani da soli sei anni e entrambe le prime avvennero a Parigi. Insomma, il ritorno in scena dei Puritani emiliani fa godere il belcanto, ma fa scappare anche un sorriso ironico.
Il giovane tenore Ruzil Gatin, proveniente dal Tatarstan, si era già ascoltato a Modena nei panni del conte d’Almaviva, con esito positivo. Oggi conferma la sua buona reputazione; riesce a domare il difficile, se non impossibile ruolo del lord Arturo Talbo scritto da Bellini per il mitico tenore Rubini. Questo nuovo Arturo venuto dalle rive del Volga dimostra di avere le qualità sufficienti per tale ruolo temerario; è capace di domare l'ardua scrittura e la tessitura che resta acutissima anche se sceglie di non avventurarsi al Fa sovracuto. A tratti ricorda i tenori di grazia delle vecchie generazioni che potrebbero ancora esercitare un certo fascino, ma oggi sono considerati fuori moda.
Viene invece dalla Spagna il soprano Ruth Iniesta che gode un’ottima fama quale interprete belcantista. Anche lei è all’altezza del difficile compito, mette una voce piena, dal bel colore e dalla linea elegante al servizio del personaggio, disegna Elvira nel fiore di gioventù e di femminilità. Eccelle nelle scene di follia, ma a tratti il suo canto raffinato viene offuscato dal suono dell’orchestra troppo intenso. Anche per lei un grande successo, al pari del tenore.
La recita va in crescendo continuo, ma non si può prevedere il fatto che il successo più grande, davvero stratosferico, vada al celebre duetto di due bassi, di sir Riccardo e di sir Giorgio, rispettivamente interpretati da Alessandro Luongo e Luca Tittoto. Il baritono toscano è un artista poliedrico, da sempre capace di conquistare il pubblico grazie alla sua voce virile e lucente e all’ottima presenza scenica unita all’approccio profondo e caldo al personaggio. Il basso veneto, pure lui dotato di uno strumento eccezionale e di un talento attoriale stupefacente, intona con lui “Suoni la tromba, e intrepido” con un entusiasmo coinvolgente, ma senza perdere il controllo e il buon gusto e senza trascurare il fraseggio. Il teatro letteralmente viene giù, il bis è inevitabile e tanto gradito.
Nozomi Kato, Enrichetta, sfoggia voce di bel colore e buona tecnica. Completano il cast Andrea Pellegrini, convincente lord Gualtiero Valton e Matteo Macchioni, incisivo sir Bruno Robertson. Se mai c’è una “gara” vocale nella recita dei Puritani di domenica pomeriggio, si potrebbero proclamaree vincitrici le voci basse principali; questo allestimento dell’ultima opera di Bellini è tanto fiacco dal punto di vista teatrale, quanto entusiasmante da quello vocale.
Nella direzione di Alessandro D’Agostini alla guida della Filarmonica del Teatro Comunale di Modena, dal bel suono ricco e morbido, una nota decisamente amara si rileva nei tagli apportati alla partitura belliniana. Prezioso, ma non senza un paio di difetti, è il contributo del Coro Lirico di Modena preparato da Giovanni Farina, assistito da Massimo Malavolta.