L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Torpore ad Algeri

di Luigi Raso

Carlo Lepore come Mustafà e Marco Filippo Romano come Taddeo sono gli unici punti di forza di una produzione dell'Italiana in Algeri gradevole sul piano visivo ma, per il resto, insoddisfacente su quello musicale.

SALERNO, 17 maggio 2024 - Che sarebbe stata un’Italiana in Algeri musicalmente ben poco travolgente lo si è intuito sin dai primi pizzicati degli archi che aprono la Sinfonia: il respiro generale è apparso subito un po’ in affanno e slentato. Poi, nel corso dell’opera, il giovane direttore Gaetano Lo Coco sparge qualche pizzico in più di aroma sulfureo sulla partitura, che tuttavia non riescono a rendere accattivante e trascinante la lettura del dramma giocoso rossiniano: e risultare ben poco coinvolgenti e fantasiosi per il Rossini dell’Italiana, prosciugarla della sua intrinseca mercuriale e genuina comicità costituiscono demeriti non secondari. La stessa Orchestra Filarmonica Giuseppe Verdi di Salerno non appare in gran forma: manca di nitidezza e precisione in molti passaggi; si ascoltano spunti dinamici interessanti nei crescendo, ma l’articolazione nel suo complesso presenta delle sfrangiature e procede svogliata. Migliore, quanto a precisione e idiomaticità, il Coro del Teatro dell’Opera di Salerno affidato alla cure di Francesco Aliberti.

E non riesce a destarci dall’apatia uditiva il cast vocale; tranne due punte di diamante, gli interpreti danno l’impressione di seguire a ruota le poche sollecitazioni e il professionismo generale. Esaminiamo il cast in rigoroso ordine di locandina.

Il Mustafà di Carlo Lepore è il primo dei due vertici di eccellenza, grande artista che fa della parola il presupposto e l’origine della sua arte vocale. Dizione scolpita e musicale, voce imponente, fraseggio ricercato, spiccata musicalità, intelligenza e carisma gli consentono di delineare un Mustafà dalla polpa musicale e teatrale credibile e robusta. Seguendo le intenzioni della regista Sarah Schinasi, Carlo Lepore dà vita a un Bey raffinato e affascinante.

Mariam Battistelli dà voce ad Elvira dai buoni mezzi vocali, dalla bella figura scenica, ma talvolta si ascoltano suoni troppo fissi e una dizione non sempre chiara. Professionali Rosa Bove come Zulma e Nicola Ciancio nei panni di Haly.

Juan De Dios Mateos è un Lindoro che denota facilità nel salire verso l’acuto, ma la linea di canto, a causa di una tecnica con margini di miglioramento, non è immacolata; l’interprete, poi, purtroppo troppo spesso latita.

Elmina Hasan come Isabella sconta una vocalità troppo leggera e un timbro troppo chiaro per la parte, ma, soprattutto, l’assenza di carisma e charme che la protagonista di quest'opera deve necessariamente possedere. La linea è abbastanza corretta, tuttavia raramente l’interprete riesce ad esprimere guizzi suggestivi e da ricordare.

Infine, all’interno del cast, la seconda eccellenza: il Taddeo di Marco Filippo Romano ha voce robusta, rotonda, bel timbro, dizione chiara; ma soprattutto - vivaddio! - è un interprete raffinato, simpatico, che sa restituire compiutamente il carattere di Taddeo, il suo lato tragicomico.

Se la parte musicale, con le sole eccezioni del Mustafà di Carlo Lepore e del Taddeo di Marco Filippo Romano, convince invero poco, lo spettacolo firmato da Sarah Schinasi regala più soddisfazioni.

La vicenda dell’Italiana è trasposta negli anni ’20 del 1900: Isabella è un’aviatrice costretta a un ammaraggio di fortuna al largo delle coste algerine. Lindoro è stato rapito perché recatosi in Algeria per scavi archeologici. Una lettura che, unita alle belle scene e ai costumi di Alfredo Troisi nel segno di un Oriente poetico e fiabesco, riesce ad imprimere all’Italiana in Algeri una buona dose di quella distillata e genuina comicità rossiniana quasi del tutto assente nel versante musicale.

Lo spettacolo piace, e molto, al pubblico del Teatro Verdi di Salerno che accoglie tutti gli artefici con applausi calorosissimi e prolungati.


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